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Beato Andrea Conti, nipote di Bonifacio VIII: il culto da Piglio a Ragusa

Se' tu già costì ritto, Bonifazio?



Ragusa - “Se' tu già costì ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi mentì lo scritto”. Questi versi famosissimi sono tratti dal Canto XIX dell’Inferno della Divina Commedia: a parlare è papa Niccolò III, che Dante colloca tra i simoniaci e che si trova posizionato in una buca con la testa in basso ed i piedi in alto.

Il papa, scambia il Sommo Poeta per papa Bonifacio che, invece, regnava proprio al tempo in cui Dante ambienta questi versi.  Bonifacio VIII è stato uno dei papi più famosi della storia proprio grazie ai versi di Dante, suo grande nemico politico: il poeta fiorentino, infatti, lo riteneva un uomo corrotto e non a caso aveva collocato il povero Celestino V, “Colui che per viltà face il gran rifiuto”, nell’antinferno, precisamente nel girone degli Ignavi, perché a causa del suo rifiuto della carica papale gli era subentrato l’odiato Bonifacio, nato Caetani.

Non molti, però, conoscono il nipote di papa Bonifacio: il Beato Andrea Conti, figlio di una sorella del papa e anche lui discendente da una nobile famiglia originaria di Anagni, città della Ciociaria in provincia di Frosinone. Eppure, il culto di questo Beato, che è vissuto fra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV, è arrivato fino a Ragusa. Andrea Conti fu un vero uomo dedito alla chiesa della povertà: entrò a far parte, infatti, dell’ordine dei Frati Minori Francescani e si stabilì nel monastero dedicato a San Lorenzo a Piglio, piccola cittadina in collina, oggi in provincia di Frosinone.

Qui, visse una vita di povertà, preghiera e penitenza: quasi tutta la sua esistenza, infatti, si svolse all’interno di una piccola grotta che si trova ancora oggi poco distante dal bellissimo monastero, tutt’ora sede dei Frati Minori e visitabile. Secondo la devozione popolare, il Beato Andrea Conti era soprattutto un esorcista e suscitava grandissima ammirazione fra gli abitanti della zona. Poi, nel 1295, salirono al convento di San Lorenzo a Piglio alcune persone: erano i dignitari di Bonifacio che offrirono ad Andrea Conti la carica cardinalizia. Il potente zio Papa, infatti, l’aveva nominato Cardinale di Santa Romana Chiesa. Andrea Conti, uscito dalla grotta, accolse i messi papali con grande umiltà e deferenza, ma li pregò di rimettere la nomina nelle mani del Pontefice.

Da quel momento in poi, l’iconografia che rappresenta il Beato riporta sempre questo elemento: il cappello rosso da Cardinale messo sotto i piedi dal Beato Andrea Conti, in segno di rinuncia. Ebbene, questo elemento è presente anche nell’unico quadro in provincia di Ragusa che raffigura il Beato Andrea: si trova presso la chiesa di San Francesco, a Ragusa Ibla, ed è stato dipinto da Antonino Manoli. Si tratta di un olio su tela commissionato per la festa della beatificazione, avvenuta l’11 dicembre 1724. La tela, è firmata “Antonius Manoli pingebat 1724”. Il beato è raffigurato in estasi, mentre riceve da un angelo una stola. Sul lato sinistro vi è un gruppo di ammalati che attende l’intercessione del Beato, una principessa siciliana che ottiene un miracolo, o per le sue difficoltà di parto, o per il figlio resuscitato. Più in alto sulla sinistra sono raffigurati il demonio ed un indemoniato.

Sulla destra in fondo, si intravedono: la croce, il monte Scalambra e l’antico convento e la chiesa del Piglio. Sul lato destro un angioletto sostiene un libro aperto con lo stemma araldico dei conti di Segni, l’aquila a scacchi, e ai suoi piedi sono posti i due cappelli cardinalizi, che indicano il rifiuto opposto dal Beato all’alto incarico che gli si voleva conferire. Lo stesso quadro recuperato da Osimo (Montedinove), si trova ora nel convento di San Giacomo a Roma, con variazioni, come per esempio quella del demonio, ecc. Non si comprende se si tratti di copia dello stesso autore. Il dipinto di Montedinove è databile al 1726.

Lo stesso vale per quello posto sull’altare della cappella del Beato a Piglio, precedentemente realizzato in gesso, ma ora ridipinto. In quest’ultima opera sono ritratti anche due angioletti che recano due piatti a simboleggiare il miracolo degli uccelli e quello dei fichi. Nella tela di Osimo, invece, l’angioletto poggia i piedi sui due cappelli cardinalizi, con la mano sinistra regge un piatto con un uccello e indica la mano destra nella quale tiene un teschio. Lo stesso dipinto si ritrova anche a Cave e una copia simile, del 1726, si trova anche ad Oristano.

 


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