Caravaggio passò qualche giorno a Scicli. Parola di biografi. E' stato dato alle stampe il romanzo di Annalisa Stancanelli “Il vendicatore oscuro” (Mondadori Electa, 2017), dedicato alla vicenza umana di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Molti storici dell’arte hanno individuato il configurarsi del mito caravaggesco nel suo enigmatico transito siciliano, così glorioso e oscuro, agitato e trionfale insieme. «Gli ultimi anni di Caravaggio tra Malta, Sicilia e Napoli, sono segnati da una febbre, un disagio, una fatica del vivere che balzano subito agli occhi, diventano sempre più evidenti», scrive Luca Scarlini in “Il Caravaggio rubato” (Sellerio, 2012). Ecco il racconto che ne fa Helen Langdon, tra i biografi più accreditati del Merisi, nel suo “Caravaggio-Una vita” (Sellerio, 2001): «I suoi vagabondaggi in Sicilia sono molto contraddittori, in parte viaggio trionfale d’una celebrità internazionale, ammirata e pagata profumatamente, in parte fuga angosciata d’un evaso che si aspettava da un momento all’altro la cattura o magari la morte e dormiva con la spada al fianco – inoltre, temuto per il suo comportamento, veniva regolarmente decritto come un folle, cosa che ai tempi di Roma non era mai successa».
Un personaggio sfuggente e ambiguo, Michelangelo Merisi, sospettato persino di pedofilia. Così viene ricostruita da
Helen Langdon la sua fuga da Messina, dopo la tappa siracusana, in attesa del trasferimento a Palermo.
Vi sarebbe stato un dissidio tra Caravaggio e un pedagogo, narrato dal pittore messinese Francesco Susinno (1670-1793. Pare che il Caravaggio fosse solito recarsi all’arsenale per guardare con una certa bramosia i giochi di alcuni alunni, destando la risentita preoccupazione del loro maestro. Scrive Susinno: «Michele andava osservando gli atteggiamenti di que’ ragazzi scherzanti per formarne le sue fantasie. Insospettitosi di ciò sinistramente quel maestro, ispiava perchè sempre gli era attorno. Questa domanda disgustò fieramente il pittore, e quindi in tal ira e furore trascorse che... die’ a quell’uomo dabbene una ferita in testa».
Susinno e la Langdon sembrano escludere che si trattasse di “fantasie sessuali”, ritenendo più plausibili ragioni di studio artistico. Caravaggio lascia improvvisamente Messina, luogo sicuro dove il Senato è in contrapposizione all’Ordine dei Cavalieri di Malta, e si reca a Palermo, dove rimarrà per un breve periodo di circa due mesi, dipingendo la celebre Natività, trafugata dalla Mafia nel 1969.
Il pittore romano Giovanni Baglione (1573-1643) ritiene indubbio che Caravaggio abbia paura e quindi fugga da Palermo, recandosi a Napoli. Palermo è tappa verso Napoli, che a sua volta è tappa verso l’agognata Roma.
Andrew Graham - Dixon, nel suo “Caravaggio – Vita sacra e profana” (Oscar Mondadori, 2014), rammenta che «le fonti indicano, che, per gran parte di questo periodo, Caravaggio visse in uno stato di "ansietà nervosa". Tiene sempre a portata di mano il pugnale. Si provvede perfino di un cane da guardia (che il Baglione descrive come un «cane barbone negro, detto Cornacchia, che faceva bellissimi giuochi»).
Graham – Dixon ne mostra il «percorso deliberatamente tortuoso» con cui da Pozzallo o Scicli muove verso Siracusa, allo scopo verosimilmente di far perdere le proprie tracce a non meglio definiti inseguitori.
Qui si rivela il labirinto di Caravaggio, che trascorre dalla storia alla leggenda, dalla fuga salvifica al presagio agonico. Secondo un documento settecentesco, passando da Caltagirone, Caravaggio visita la chiesa di Santa Maria del Gesù e vi ammira una Madonna marmorea di Antonello Gagini della quale avrebbe esclamato: «Chi la vuol più bella, vada in Cielo».
La Sicilia certamente gli apparve una terra di spagnolesca opulenza e di terribili contraddizioni. Un incubo da cui fuggire, in attesa di un destino violento e definitivo.