Chiaramonte Gulfi - L’ombra di una longa manus sugli incendi che hanno devastato e continuano a devastare la Sicilia in queste ore, diventa sempre più concreta. I roghi continuano, soprattutto nel messinese e si addensano all’orizzonte nuvole per le imperdonabili inadempienze di Regione Sicilia e l’assenza di controlli, e ombre anche sul racket dei pascoli e sui precari della forestale. Chiaramonte Gulfi non è più Chiaramonte Gulfi: l’immagine stessa del paese, il suo panorama, è radicalmente cambiato.
Non appare più come circondato da un abbraccio verde: l’immagine di oggi è di un paese diverso, con una pineta scomparsa sostituita da scheletri di alberi grigi. Piazza Armerina: anche qui, così come a Buonfornello e Cefalù, tutto devastato dal fuoco. E’ l’immagine di una Sicilia devastata nel giro di poche ore. Adesso, però, guardiamo i numeri: a giugno del 2016 i focolai erano stati 1287. Nel giugno 2017, i focolai sono stati 1450: un balzo del 20% in più. Perfino gli scettici dovranno ammettere che si è trattato di un vero e proprio attacco mirato ai boschi dell’Isola.
I 1450 focolai di quest’anno hanno distrutto 2300 ettari di boschi e 13mila ettari di terreni. Sinceramente, l’autocombustione è solo una leggenda metropolitana, una storia da raccontare ai bambini prima di mandarli a dormire per farli spaventare. Perfino i mozziconi di sigaretta ormai sono progettati per spegnersi dopo cinque secondi. E’ impossibile, insomma, che i fuochi siano stati generati dall’autocombustione. Il caso di un piromane malato di mente? Possibile, certo. Tuttavia improbabile.
Improbabile perché diventa difficile, da un punto di vista strettamente razionale, giustificare tutti questi piromani che hanno colpito in diversi punti dell’Isola, tutti nello stesso periodo dell’anno e tutti coordinati tra di loro, tanto da dividere le forze di soccorso. Tuttavia, nel ragusano e in particolare nel chiaramontano, sembra che le indagini si stiano concentrando in questo senso: piromani, più specificatamente ragazzi, che appiccherebbero il fuoco qua e là, senza una precisa regia.
Un’ipotesi davvero difficile da sostenere. Più pragmatici a Messina, Patti e Taormina. Da quelle parti, non credono ai piromani occasionali e nemmeno all’autocombustione: da quelle parti, si pensa che si tratti di allevatori e della mafia dei pascoli. Gli investigatori, infatti, sospettano che i proprietari terrieri avrebbero ricevuto parecchie minacce perché non volevano affittare i loro terreni. Lo stop dei contributi pubblici a chi non ha il certificato antimafia, ha creato un certo “mercato nero” dell’affitto dei terreni tramite prestanome. Il racket dei pascoli, dunque. Ma non solo. Lo scorso anno, a Trabia in provincia di Palermo, venne fermato un bracciante precario della forestale che stava dando fuoco ad alcuni alberi.
Questa, è la pista prediletta per gli inquirenti nell’ennese. La convinzione errata dei precari della forestale, infatti, è che più si crea fuoco, più ci potrebbe essere lavoro. Ma c’è anche un altro problema da sottolineare e che non è certo di secondaria importanza: la totale assenza di controlli dei nostri boschi. Il corpo forestale ha pochissimi uomini, mentre la polizia e i carabinieri non hanno squadre specifiche per questo tipo di indagini. Il paradosso, infatti, è proprio questo: la Sicilia paga 6500 operai forestali per spegnere gli incendi, ma per controllare il territorio, invece, ci sono poche decine di dipendenti della Regione.