Ragusa - Consiglio a tutti, e particolarmente agli amanti della Storia, la lettura di “Ignis in corde – La battaglia degli Iblei”, libro di Domenico Anfora. Libro di notevolissimo spessore scientifico, strapieno come è di informazioni, foto, documenti sullo sbarco del 10 luglio 1943 e sui giorni successivi, quelli della battaglia tra Alleati da un lato e Italo-Tedeschi dall’altro. Tutto l’intero volume andrebbe citato, per completezza e importanza delle informazioni. Non potendo, per evidenti motivi di spazio, riportiamo tre soli brani, lasciando ai lettori di RagusaNews ogni possibile commento su fatti che, almeno per quanto mi riguarda, non conoscevo affatto e che, letti nel 2011, contribuiscono a cambiare la visuale intorno a quei tragici giorni.
“Il 10 luglio erano sbarcati america, inglesi e canadesi. Il giorno dopo la reazione delle forze italo-tedesche. Ad Ispica si era portato il comando del 122 reggimento costiero, in ritirata davanti alla forza preponderante degli Alleati. Quando le truppe canadesi erano ormai vicine al paese, furono messi al muro per diserzione due soldati, Lissandrello e Avola, i quali, provenendo da Pachino in bicicletta, si erano tolti la divisa ed avevano indossato abiti civili. Lissandrello, che era di Ispica, si giustificò dicendo di aver ottenuto un permesso per andare a trovare la moglie incinta. Il plotone d’esecuzione rifiutò di sparare contro i propri commilitoni, così la sentenza a morte fu eseguita personalmente dal comandante di reggimento, il colonnello D’Apollonio”.
“Nelle prime ore del mattino dell’11 luglio gli americani si mossero da Santa Croce Camerina verso Comiso, un battaglione andò verso Ragusa dove entrò alle 12,40. A mezzogiorno un battaglio entrò a Comiso. Alle 15,40 fu portato l’attacco all’aeroporto Magliocco. Alle 17 la resistenza italo-tedesca cadde e gli americani catturarono 450 nemici, 125 aerei, 200.000 galloni di carburante e grandi depositi di munizioni. Testimone dell’episodio fu il giornalista inglese Alexander Clifford, il quale raccontò che 60 italiani, catturati in prima linea, vennero fatti scendere da un camion e massacrati con una mitragliatrice. Dopo pochi minuti, la stessa scena fu ripetuta con un gruppo di 50 prigionieri tedeschi. Quando un colonnello, chiamato di corsa dal reporter, fermò il massacro, soltanto in tre respiravano ancora. Clifford denunciò tutto al generale Patton, che gli promise di punire i colpevoli, ma non ci fu mai il processo e il cronista si rifiutò di deporre contro il generale”.
“All’aeroporto di San Pietro, tra Acate e Caltagirone, una pista nel bosco, gli americani spararono contro le batterie italiane per molte ore, fin quando cessò il fuoco e vennero catturati 45 italiani e 3 tedeschi in una caverna vicina all’aeroporto. Il sergente Horace T. West ricevette l’ordine di scortare i prigionieri nelle retrovie, consegnandone una decina all’ufficiale del servizio informativo per farli interrogare. West, un caporale e un gruppo dei suoi soldati presero in consegna i prigionieri e si avviarono lungo al strada provinciale in direzione di Acate. Dopo qualche centinaio di metri, il sergente portò la colonna di prigionieri italiani fuori dalla strada e li fece disporre lungo un fossato. Impugnato il mitra Thompson, cominciò a sparare a raffica, inseguendo i prigionieri che tentavano di scappare, mentre cambiava il caricatore durante la corsa. Uno dei corpi fu trovato a 50 metri: l’unico colpito dal caporale durante la fuga. In questa strage ci furono tre sopravvissuti: l’aviere Giuseppe Giannola, palermitano del 1917 che racconta l’episodio in una intervista al Corriere della Sera del 3 marzo 2005, ed i mitraglieri Virginio De Roit e Silvio Quaiotto.