Lettere in redazione Modica

Adriana Faranda, e il diritto di esserci

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

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Modica - Nessuna “favola bugiarda”, nessuna voglia di apparire. Adriana Faranda è una donna conscia della propria storia, che sa di essere colpevole di una stagione indimenticabile, ma non per questo, dopo aver scontato e saldato il debito con lo Stato, deve rimanere entro le quattro mura di casa. Ciò è stato testimoniato anche dalla grande intelligenza del Giudice Severino Satiapichi (che la condannò nel 1983) che, sapendo della mostra di Adriana, è venuto a trovarla a Modica, per salutarla. Nessuno, men che meno lei, vuole riscrivere la storia di anni “bui”. La fermezza della condanna per chi ne ha fatto parte, nessuno escluso, è totale. Ciò, però, non può giustificare un accanimento continuo ed una sua privazione della libertà di “vita”. L’arte è vita e lei sta cercando soltanto di “vivere”. Lo fa nel pieno rispetto del dolore che ha provocato, della pena che ha espiato e del principio riabilitativo della Costituzione Italiana. Il principio della pena, infatti, stabilito nella nostra Costituzione, all’articolo 27 viene così enunciato "Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato". Ciò sancisce il principio del finalismo rieducativo della pena. Circa il concetto di rieducazione, esso non può essere identificato con il pentimento interiore, l'emenda morale, spirituale, astrattamente possibile con qualsiasi pena ed in qualsiasi condizione carceraria. Ma viene inteso come concetto di relazione, rapportabile alla vita sociale e che presuppone un ritorno del soggetto nella comunità. Eppure nel caso di Adriana Faranda, il pentimento matura ancor prima dell’esecuzione della pena, avendo lei firmato sin da subito il documento della “dissociazione”, che non è rapportabile al pentimento dei mafiosi, bensì ad un concetto più interiore dell’evoluzione del pensiero. Ci piace ricordare, inoltre, come tutti i “compagni” di Adriana Faranda, in quel periodo, affermino che proprio la Faranda fosse l’unica, insieme al suo compagno dell’epoca, Valerio Morucci, ad aver fatto “di tutto per evitare l’uccisione di Aldo Moro”. Ciò viene compreso persino dalla figlia del compianto Presidente della Dc, Maria Pia Moro, che anni dopo incontrerà proprio Adriana Faranda ed affermerà: “Mi sono resa conto che il suo dissociarsi fosse sincero. Fra le altre cose fu l’unica, con Morucci, a cercare di evitare la condanna a morte di mio padre”. Orgogliosi di aver avuto l’opportunità di conoscerla, auspichiamo che, senza pregiudizi, i giovani ed i meno giovani, si possano avvicinare a lei, non per ricevere lezioni che Adriana mai darà, bensì per capire come si possa sbagliare e si debba comprendere e ricominciare. Perché negare la possibilità di iniziare una nuova vita, da cristiani, è davvero avvilente.

Patrizia Terranova

Paolo Borrometi


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