Ed io voglio raccontare agli amici di Sciclinews un piccolo aneddoto accadutomi da bambino che ha cambiato la mia visione sill’ambiente, un incontro con un parassita molto diffuso nelle nostre zone che mi riemerge dalla memoria non appena sento parlare di “ territorio “.
Era l’estate del 1975, avevo circa dieci anni e mi trovavo in contrada Guadagna, “ ne Libbrini “ a raccogliere carrubbe con i miei genitori.
Io ed un altro ragazzino avevamo il compito di andare a tirare l’acqua nella cisterna e metterla nelle “bummale” per dissetare “ i cutulaturi” ( uomini che facevano cadere le carrube con canne lunghissime ) e “i fimmini” ( dedite alla raccolta sotto gli alberi ). Durante una delle nostre passeggiate abituali verso la cisterna, che si trovava a circa 1 km dal punto della raccolta, l’altro ragazzo, più grande di me di un anno dotato di una spiccata scaltrezza, derivante dal suo essere figlio di contadini, si blocca improvvisamente ed esclama: “ Min… ! Na funcia!” .
Lì per lì non capivo cosa aveva causato tanta incredulità nel mio amico, ma poi seguendo il suo sguardo, vidi un maestoso albero di carrubo e un meraviglioso fungo, dal colore giallo scuro con sfumature rosse, dal peso di due chili e mezzo circa. Era il mio primo fungo di carrubbo. In un primo momento non capivo cosa fosse esattamente, ma deducevo che si trattasse di qualcosa di raro e prezioso. Sentivo che era un essere vivo, già da piccolo amante degli animali quel magma giallo mi affascinava , non poteva essere un vegetale, sembrava vivo e dotato di intelligenza e , ancora oggi, per me resta tale.
Da allora per me l’estate è divenuta non il periodo dei bagni al mare, ma l’inizio della stagione dei funghi di carrubo: da metà luglio, tutte le mattine dalle 5.30 alle 7.30, giro per le nostre campagne in cerca di questo prezioso parassita.
Il suo nome scientifico è “laetiporus sulphureus” , cresce in alberi a grande fusto ma solo quello del carrubo e del mandorlo è commestibile in quanto la linfa che scorre in questi alberi è dolciastra; visto che l’editoria del settore è nella penisola, è poco conosciuto degli esperti ed in molti libri di funghi è catalogato come non commestibile a causa dell’esigua presenza sul territorio nazionale dei carrubeti.
Mi permetto di dare qualche consiglio a chi si vuole avvicinare a questo hobby. Innanzitutto il periodo per la sua raccolta va dai primi giorni di luglio fino a novembre inoltrato, nasce in tutte le parti dell’albero dalle radici fino ai rami alti ( si possono trovare anche a diversi metri dal tronco ) , per assaporarne in pieno il suo gusto deve essere raccolto tenero ma non per questo dovete raccogliere funghi piccolissimi, lasciateli crescere anche due giorni e non ve ne pentirete. La sua morte, come insegnano da secoli le nostre massaie, è in umido con cipolla e l’estratto di pomodoro( se è piccola aggiungete patate ), ma io voglio darvi un suggerimento particolare: quando il fungo è tenero e ancora pieno, tagliatelo a fettine sottili e cucinatelo come una cotoletta, per me è il massimo!
Ora cari amici un’ultima considerazione personale. In tutti questo anni ho girato le nostre campagne in lungo e largo setacciando i carrubeti e i mandorleti e devo affermare, con rammarico, che ho assistito alla devastazione del nostro territorio in modo esagerato: si continua ad estirpare alberi secolari di carrubo per far posto alle bruttissime serre ( accadeva soprattutto nei decenni passati ), e negli ultimi anni a villette con giardini e piante che violentano il nostro paesaggio.
E un pensiero doveroso va a quegli uomini che hanno piantato pazientemente quei carrubi nella speranza di poterne raccogliere, un giorno, i frutti.
Penso a loro come uomini veri e altruisti, lontani dalla società consumista di oggi , guardo i muri a secco che chiunque può scavalcare non come le recinzioni di oggi alte due metri per proteggere i nostri tesori o nascondere le nostre vergogne.
Penso a mio zio che a 80 anni va ancora nella costa ,“o crucifissu” , per pulire il terreno per scongiurare gli incendi che potrebbero bruciare i carrubi che i suoi nonni, con alto senso del dovere, hanno piantato nella consapevolezza che a goderseli sarebbero state le generazioni successive. A tutti loro voglio dire solo una cosa GRAZIE.
Luigi Cicero
