Tra gli special guest delle cerimonie e degli spettacoli per l'insediamento del primo presidente di colore della storia degli Stati Uniti d'America un solo musicista proviene dal Vecchio Continente: il siciliano Francesco Cafiso, di Vittoria, incredibile talento del sassofono contralto di soli 19 anni.
La sua giovane età rende incredibili i riconoscimenti collezionati fino ad ora, ma a dire il vero, stupisce ancora di più l’umiltà che traspare dalle sue parole quando accetta di raccontarci questo felice momento.
Quando hai avuto la notizia di questa incredibile occasione?
Ho ricevuto una telefonata inaspettata pochi giorni fa ed è l’ennesima grandissima opportunità che Wynton Marsalis mi regala. Ovviamente sono molto contento: per me è già stupendo suonare con lui, questa volta lo sarà ancora di più.
Marsalis è una persona molto intelligente e la sua scelta di chiamare un italiano nel tempio della musica afro-americana, per di più in un evento così importante, è sicuramente coraggiosa.
Smentisce tra le altre cose chi lo accusa di essersi rinchiuso nella tradizione e di collaborare solo con musicisti neri.
Sai quello che dovrai suonare o lo scoprirai alla prima prova?
Non so ancora cosa suoneremo, ma a questo sono abituato. Ho chiesto qualche informazione in più: la città sarà invasa dai musicisti, dalle street parade e dai concerti.
Sei un professionista affermato a dispetto della tua età. In casi eccezionali come questo l’emozione si fa sentire?
La musica richiede il massimo impegno e in questi casi l’emozione può giocare brutti scherzi. Cerco di stare tranquillo e di pensare solo a suonare.
Questa occasione personale rappresenta secondo te un riconoscimento per il Jazz italiano in generale?
Penso di sì. Il jazz italiano ha raggiunto grandissimi livelli. e abbiamo diversi nomi apprezzati in tutto il mondo. Allo stesso tempo credo che non conti più di tanto la nazionalità e l’età di un musicista.
Cosa ha voluto dire riscuotere tutto questo successo così presto?
Tutto quello che ho fatto e che mi è capitato non mi ha tolto la serenità. Sono grato ai miei genitori per come mi sono stati vicino e per come mi hanno educato. Un grande musicista secondo me deve essere anche una “bella” persona a livello umano.
La mia fortuna è stata quella di iniziare molto presto e incontrare le persone giuste nei momenti giusti, a cominciare dal mio primo insegnante, Carlo Cattano, che da subito mi ha introdotto al Jazz.
Il talento senza lo studio e il sacrificio non porta da nessuna parte, ma sono importanti anche le occasioni. Ci sono grandissimi musicisti che non hanno avuto la fortuna che ho avuto io.
Quali sono stati gli incontri decisivi?
L’incontro decisivo è stato appunto quello con Wynton Marsalis che mi sentì suonare al Pescara Jazz Festival 2002. Senza esitare mi ha volle con sé nel suo tour estivo.
È uno dei musicisti più grandi che conosca, li sento fare delle cose sconvolgenti, quasi impossibili. Ha una cultura immensa ed è molto impegnato a livello sociale. Tutto questo forse gli ha procurato qualche invidia. Da lui ho imparato moltissimo, non solo a livello musicale.
WYNTON MARSALIS e FRANCESCO CAFISO – JUST FRIENDS
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Grazie a lui ho avuto l’occasione di suonare in America diverse volte e di immergermi nell’atmosfera magica di New Orleans, ho incontrato tantissimi musicisti e ho suonato dappertutto: dalle marching band, alle jam session sui balconi.
Al mio ritorno hanno iniziato a chiamarmi e sono arrivati i riconoscimenti importanti, come la “World Saxophon Competition” di Londra.
Devo ringraziare anche il grande pianista Franco D’Andrea, uno dei primi a credere in me: ha rischiato tanto e si è fidato musicalmente di un ragazzino di 12 anni.
Quali sono i tuoi sassofonisti di riferimento?
Il sassofono contralto viene associato inevitabilmente agli anni del bebop. Io ho amato da subito Charlie Parker e Phil Woods. Crescendo ho scoperto altri musicisti, ognuno con qualcosa di diverso da dire. Parker ha stravolto totalmente la musica che lo aveva preceduto, John Coltrane mi ha sempre colpito per la sua spiritualità incredibile che riusciva ad esprimere attraverso lo stile modale, Miles Davis è l’artista poliedrico per eccellenza, un esempio per tutti noi nel riuscire a guardare sempre in avanti. Poi Eric Dolphy e tantissimi altri…
Quanto è difficile trovare un suono proprio?
Ogni musicista deve cercare di essere originale. Riconosco di essere molto giovane e di non avere ancora un background culturale o di vita tale da poterlo ancora fare in modo compiuto. L’importante però è avere le idee molto chiare, anche se ci vorrà del tempo per svilupparle. Devo maturare, fare molta esperienza e continuare a studiare.
Anche se è difficile da spiegare a parole, cerco di avere un suono dotato di grande flessibilità, capace di raggiungere una certa dolcezza o una certa aggressività. Amo il suono pieno, ricco di armonici. Quando non ho un bel suono non mi sento bene.
Nel tuo studio a cosa ti stai dedicando maggiormente?
Dopo il Diploma in flauto traverso, mi sto specializzando in arrangiamento e composizione.
Coltivare la composizione è come scoprire un’altra personalità rispetto a quella che emerge quando si improvvisa. Con la composizione nascono delle cose che nell’improvvisazione estemporanea non verrebbero fuori.
In quale contesto ti diverti di più?
Nel duo con il pianoforte mi diverto moltissimo. Si ha una grande libertà sia a livello ritmico, che armonico. Il quartetto è inevitabilmente una situazione molto diversa. In ogni situazione e dai diversi musicisti comunque si impara sempre qualcosa. Il bello sono gli stimoli sempre nuovi che la musica riesce a darti.
A quale disco non rinunceresti mai?
Direi “Kind of blue”, il capolavoro di Miles Davis, soprattutto per il suono che viene fuori da quel gruppo straordinario.
Ultimamente sui giornali si è scatenata la polemica tra Giovanni Allevi e Uto Ughi, cosa pensi della vicenda?
Non amo fare polemica con nessuno. Penso che ogni musicista e ogni persona, nella vita come nella musica abbia la libertà di fare e creare ciò che vuole, come vuole.
Allevi è libero di comporre come meglio crede, sbaglia secondo me quando si proclama il “messia” della musica del nuovo secolo. Penso che non spetti a lui dirlo.
(Carlo Melato)
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