Scicli - “Ma il Signore non poteva impedire che ciò accadesse?”
La voce di don Nunzio Di Stefano tuona nella piccola chiesetta di Sampieri. La comunità della frazione sciclitana si è data appuntamento qui, a una settimana dalla tragedia che ha visto Giuseppe Brafa, dieci anni, essere sbranato dai cani. Una messa e una fiaccolata sul sagrato della chiesa.
“Alle centinaia di fedeli, di atei che mi hanno posto la domanda in questa settimana terribile, in cui un bambino è morto, e una turista è rimasta gravemente ferita, rispondo: abbiamo sempre bisogno di dare la colpa a qualcuno. Questo serve a farci sentire bene, sollevati dalle nostre responsabilità, giustificati. Nessuno di noi però è esente da colpe. Siamo responsabili della vita nostra e di quella degli altri”.
Ad ascoltarlo, in un silenzio irreale, la comunità sampierese, tanti bambini, persone venute di proposito, da Scicli e da Modica.
In un cantuccio, in disparte, volontariamente in ombra, c’è anche Vinicio Capossela. Prende appunti, scrive tutto. Reduce dal concerto di Ragusa, dove la sera precedente ha dedicato “Ovunque proteggi”, una delle sue canzoni più belle, alla comunità di Scicli, il cantautore è scosso, colpito nel profondo. Vinicio è legato da un sentimento di appartenenza alla terra del “Gioia”, del Cristo Risorto, che ha reso celebre in una canzone, e nel momento del lutto più profondo non se la sente di mancare.
Ha trascorso il pomeriggio al lungomare di Sampieri, chiedendo alle persone del posto come è possibile che Giuseppe sia stato sbranato dai cani, come è giustificabile che trentasei ore dopo il dramma si sia ripetuto. Con alcuni amici musicisti partecipa alla messa e alla fiaccolata.
Alcune anime in pena si aggiungono alla spicciolata. Arrivano anche i politici, i sindacalisti, gli amministratori pubblici. La chiesa di Sampieri non riesce a contenere tutti.
“Ci saranno altri luoghi e altri momenti per manifestare il nostro dissenso –riprende don Nunzio-. Ma questo è il momento del dolore, della vicinanza ai familiari delle due vittime dell’aggressione”.
La rabbia pervade il sentire popolare, è duro tenere a bada i perché, quelli che chiedono come è possibile che una lunga, interminabile sequela di negligenze abbia portato a due episodi insostenibili. “Una terra accogliente e solare esce mortificata da questa storia, non meritiamo tutto questo”, riprende il parroco.
Sul sagrato, una bici e una maglietta del Milan, “i simboli del gioco, gli oggetti con cui Giuseppe Brafa si stava divertendo quando su quella strada ha incontrato i cani aggressori”.
La messa termina, la folla muta si compone a cerchio sul sagrato, iniziano alcune letture. Una donna legge il passo di una poesia. Chiede riscatto e redenzione, “come petali di rose in un deserto di sole”.
Da una settimana sembra di vivere un lungo, interminabile incubo. A Sampieri vive gente semplice, di periferia, ci si conosce tutti per nome, e gli abitanti si guardano in faccia come a chiedersi: quando ci sveglieremo? La folla muta ascolta e si raccoglie. Ci sono tanti bambini, genitori che guardano i figli in braccio e si chiedono cosa avrebbero provato loro al posto del papà e della mamma di Giuseppe, del papà e della mamma di Marya. Presenza, quest’ultima, che non era passata inosservata in un luogo in cui in inverno ci sono solo i residenti.
Resta la preghiera e una voglia di pioggia, di purificazione e di riscatto. E l’invocazione che la sera prima Vinicio ha riassunto nella canzone dedicata alla sua Scicli: “Ovunque proteggi, la grazia del nostro cuore”.
Fotoservizio di Luigi Nifosì
Vinicio prega infreddolito davanti la chiesa di Sampieri (ph. Luigi Nifosì)