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Il cioccolato modicano è davvero così buono? Forse no. Il mio cioccolato



 

Ho abitato in casa della nonna fino ai primi anni ‘70. Vecchio mobilio, vecchia cucina. Una scatola verde, di latta, ammaccata, nella credenza dell’anticucina. Mai la domenica, quando trionfavano le paste, c’era qualcuno della famiglia che si alzava da tavola per prendere dalla credenza quella scatola verde che conteneva, avvolte in un’anonima carta oleata, delle tavolette di cioccolato fatto in casa, dolce dimesso, ideale chiusura per una cena casalinga. Svelta di occhio e di mano, afferravo un coltello per arrivare per prima all’assaggio. Fui autorizzata, solo verso i dieci anni, a maneggiare un coltello. Ma non uno qualunque,  “il coltello”, quello  dalla lama liscia e consunta, dal manico annerito, il migliore per questa manovra. Ricordo che mia madre si aiutava anche con un vecchio batticarne di alluminio che, in verità, dava precisione al taglio, ma toglieva poeticità al gesto. Si procedeva senza le formalità del galateo, attenti piuttosto a non tagliare la tovaglia e soprattutto la carta oleata, che andava conservata integra per riavvolgervi, con dovizia, quel che restava di una tavoletta. Tagliatone un quarto, in corrispondenza della tacca lasciata dalla formina, rimanevo delusa perché – anche se alla fine quel quarto di tavoletta l’avrei mangiato comunque tutto io – vedevo che si procedeva  ricavando da esso quadretti più piccoli che mi venivano passati, uno per volta, e – non comprendendo io allora il valore della parsimonia - lasciandomi col desiderio di volerne ancora. La scatola verde scompariva nella credenza per riapparire non propriamente il giorno successivo. Mi restava, infine, il piccolo privilegio di raccogliere col dito e leccare quella polverina marrone finita sulla tovaglia.Nella seconda metà degli anni ‘60 iniziò la trionfale ascesa della Nutella.  La goduria di affondare il cucchiaino nel barattolo per un assaggio generoso, talora furtivo, e la sensazione della Nutella in bocca, tanta, era un’esperienza impareggiabile, ma ricordo che questo rito si compiva, per me, con una tale voracità da escludere alcun compiacimento. Col cioccolato fatto in casa il rapporto era diverso. A pensarci bene, per la sua consistenza, mangiarlo era una fatica, si doveva masticare a lungo, era tendente all’amaro e la percezione del gusto risultava meno immediata rispetto a quella della blasonata crema. E’ anche vero che i nostri giovani palati erano abituati a pochi e più semplici sapori, il normale aveva dello straordinario, e vivevamo felici ancorché inconsapevoli della marcia in più che le Pringles avrebbero rivelato, surclassando le comuni patatine. Potevamo non conoscere la leggendaria storia degli Aztechi, le favolose proprietà attribuite al cioccolato e non essere edotti dal film della Binoche, i paesi produttori di cacao li studiavamo in geografia e tanto ci bastava sapere. La ritualità del taglio della tavoletta e la somministrazione per piccole quantità, almeno per come si svolgeva a casa mia, giocavano un ruolo fondamentale: rendevano quel cioccolato particolarmente desiderabile, conferendogli una bontà superiore a quella che in effetti aveva. Il vero sapore è quello dei ricordi. Per me la fine di questo tempo avvenne con la vendita di quella casa nel cuore di Modica. Un tempo finito con la spartizione dell’eredità della nonna.  Servizi da tè divisi per tre, come pure rigorosamente divise per tre furono le diciotto formine di latta per il cioccolato, ormai ricoperte di ruggine. La scatola verde nessuno la volle. Ce l’ho ancora io. 

QUANDO LA CORNICE VALE PIU’ DEL QUADRO

Parlare del cioccolato modicano è come raccontare di un amore finito quando rimane solo l’indifferenza. Ne hanno fatto uno strumento di marketing territoriale, ma mi risulta difficile pensare che la promozione di una città possa passare, ancora per molto, solo attraverso la tipicità di alcuni prodotti. Sfiorando il ridicolo e il kitsch, a Modica creativi impazziti si sono prodotti in massaggi al cioccolato, acconciature al cioccolato,  abiti e borse al cioccolato, conigli al cioccolato, cioccolato frizzante, cioccolato al sapore di fiori, cioccolato a forma di non so che, quadri sculture ed installazioni di cioccolato. Cioccolatai che dalle loro vetuste dolcerie non perdono l’occasione di un passaggio televisivo su reti nazionali, pontificando – in un momento tragico come quello appena trascorso - persino sul  randagismo, mentre scorrono le immagini dei loro prodotti, e…quel birbante di Guarducci, gran patron del cioccolato, ideatore ed esportatore – ora anche in Svizzera - del format Eurochocolate del quale, mentre noi modicani credevamo di esserci finalmente liberati nel 2009, qualcuno stava già pensando al suo “surrogato”, il Chocobarocco! Dopo il treno, diventa barocco pure il cioccolato! Sarà una manifestazione dal taglio “fortemente culturale”, preannunciano, ma il nome è tanto buffo! Riflettiamo. Il cioccolato modicano è davvero così buono? E poi, di quale parliamo, di quello fatto ancora oggi in casa o di quello prodotto dai diversi laboratori artigianali? Analizziamo quello commercializzato. La “cornice”. Dolcerie che sembrano farmacie (non è detto che le più rinomate producano il cioccolato migliore). Packaging  sofisticati o minimal-chic che potrebbero contenere la qualunque, anche un siero antirughe. L’aspetto. Se appena fatto è bello lucido e invitante, dopo qualche tempo una patina bianca ricopre la tavoletta. E’ un normale “segno del tempo” in quanto fatto con ingredienti genuini…ma prova a spiegare questo a chi – non del posto – lo riceve come regalo. Inoltre, spezzata una tavoletta talvolta è più percettibile visivamente il bianco dello zucchero che il marrone del cioccolato. La consistenza. Se cerchiamo di essere appagati dal cioccolato che si scioglie in bocca allora il “modicano” non fa per noi. Bisogna tagliarlo – talora presenta una durezza “granitica”, addentarlo, masticarlo. E’ ruvido, “impegnativo”. E’ vero anche che la granulosità è una sua caratteristica peculiare, che può piacere o dare fastidio. Il gusto. Si ha spesso l’impressione che il sapore del cacao si senta dopo il dolce dello zucchero e talvolta si rimane delusi se non si percepisce distintamente uno degli gli aromi tradizionali (vaniglia, cannella) oppure, se notiamo che c’è un’eccessiva prevalenza di aromi non tradizionali come menta, carruba, caffè, gelsomino, ecc. (non sempre “naturali”, piuttosto sfacciatamente “chimici”, e la differenza si nota). Oggi il must è fare a tutti i costi un cioccolato glamour – da quello al cardamomo a quello allo zenzero o al peperoncino – idee prese in prestito, forzatamente, dalla cucina etnica e fusion. La data di scadenza. Mi sconforta leggere in un’etichetta di cioccolato prodotto nel marzo 2009 che può essere consumato fino al 2011. Cosa dicono gli studi – se mai sono stati fatti - sulla conservazione nel tempo delle proprietà organolettiche del cioccolato modicano? Avete provato, cioccolatai modicani, a mangiare il vostro cioccolato vecchio di tre anni? Non serve essere un “choco taster” ufficiale per una valutazione oggettiva del prodotto o per essere in grado di distinguerne uno buono da uno mediocre.

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MEGLIO UN QUADRO SENZA CORNICE

Il cioccolato modicano è una tradizione, allora andiamo a comprare le formine da uno di quei pochi lattonieri ancora in attività e facciamolo in casa. Non abbiniamolo a niente, meno che mai al vino rosso, come qualcuno ha azzardato, consumiamolo appena fatto, teniamolo nella scatola di latta, ma non per mesi, piuttosto facciamolo anche tre volte all’anno. Profilo ideale del cioccolato modicano. Aspetto lucido, profumo di cioccolato e aromi - possibilmente tradizionali - non appena scartata la confezione. Durezza non eccessiva al taglio. Colore scuro anche dell’interno. All’assaggio, giusta proporzione tra la componente amara – che deve prevalere - e quella dolce che non deve sopraffare, pregnanza degli aromi, granulosità non eccessiva e più tendente al sabbioso.

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INGREDIENTI

pasta di cacao g. 500 -  zucchero g. 800 - aromi a piacere (vaniglia, cannella, buccia grattugiata di un’arancia), formine di latta.

PROCEDIMENTO

Sciogliere a bagno-maria la pasta di cacao, aggiungere lo zucchero* mescolando continuamente, fare cuocere per 15 minuti. Aromatizzare il cioccolato e metterlo nelle formine. Posizionare le formine dentro un vassoio di legno dal bordo alto e sbatterlo sul tavolo per fare uscire l’aria dal cioccolato e uniformare la superficie. Attendere circa tre ore fino a quando il cioccolato sarà freddo. Sformare e avvolgere ogni tavoletta nella carta oleata. Conservare il cioccolato in una scatola di latta e consumarlo non oltre tre mesi dalla data di preparazione.  

* per un cioccolato più piacevole all’assaggio, passare lo zucchero al macinacaffé per ottenere una polvere che, però, deve conservare una certa granulosità e non essere impalpabile come lo zucchero a velo.

C.A.


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