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Enzo Trantino. Definire nei limiti angusti di “un personaggio, e basta” questo straordinario figlio dell’Etna è quasi impossibile. Mettiamoci una maiuscola e tralasciamo il quasi: è Impossibile!
Enzo Trantino oltre ad essere avvocato di fama internazionale e politico d’assoluto rilievo è anche giornalista e pure scrittore. Enzo Trantino è un abile "avviatore di paradossi" nella sua mirabile oratoria, immodesto e vanitoso come solo un siciliano vero e puro come lui sa essere.
È anche un "ospite esigente" quando lo inviti a cena..
Enzo Trantino è Maestro della ragione, ma è anche Discepolo mai appagato dei suoi Perché irreversibili, transumante e irrazionale moto dell’anima nel dubbio omofonico del nulla, nirvana del retorico; proprio come i suoi famosissimi calembour elettorali, sloganati su manifesti e volantini a corredo del suo pizzetto volante, da candidare: “la forza dell’onestà e l’onestà della forza!”. Nostalgie andate, variabili geografie dell’invisibile.
Enzo Trantino è anche Filosofo, Teoretico del Galantomismo e dell’Isomerizzazione del Sé, creatore della Dottrina dell’Io Catalitico, virtuoso dell’impossibile. Enzo ha dato forma e parola alla sostanza iperpura dell’Ego! isolano, dell’Io berbero scampato alla lava, pirolisi di una Sicilia imbevuta di zolfo, catastrofe essoterica del Mediterraneo.
Se mi legge Battiato ne fa una canzone!..
Enzo Trantino è dunque un Narciso conservatore, galantuomo mutevole e pubblico cittadino, cerimoniere elegante, retore dell’alfa e dell’omega in gelateria, Enzo Trantino è il Tutto ma è anche “suffuru”, come ben scriveva Francesco Merlo nel lontano 2004 sulle pagine di Repubblica.
Sullo sfondo di una Sicilia bagnata dalle parole e dalla vanità brilla la patacca del conte Igor Marini e il burqa della “mala comparsa” del Presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta dell’Affaire Telekom Serbia, il nostro Filosofo, Onorevole, Maestro, Avvocato Trantino.
Socrathe
ALLO stadio Cibali, durante Catania-Napoli, un vecchio amico gli ha chiesto maliziosamente di Igor Marini, ed Enzo Trantino, che pure ama la parola più di se stesso, non gli ha risposto, ha fatto una brutta smorfia di sofferenza e di disgusto e tutti hanno capito che Igor Marini e gli altri pataccari dell'affare Telekom Serbia stanno deturpando anche il narciso che in lui è sempre stato fiorente, lo stanno facendo appassire. Perciò l'onorevole Trantino, che nella vita crede di avere incartato tutti, per la prima volta si sente incartato. Questo avvocato, che sempre ha sfoggiato trovate retoriche, adesso non trova la parola, e anzi cerca l'assenza della parola, il silenzio come rifugio e come punizione: "Per me il silenzio, suole dire, è peggio di una cintura di castità, peggio di un burqa". E poiché tutti nella sua Catania sanno che per Trantino il silenzio è il più affliggente dei castighi, quell'amico, pietoso e maligno, ne ha subito approfittato: "Enzo, dimettiti. Non vedi che sei come Fassino? Lui non si è accorto di Milosevic, e tu non ti sei accorto di Marini". In realtà, se Enzo Trantino non si è ancora dimesso dalla presidenza della commissione di inchiesta sull'affare Telekom Serbia, è perché la sua proverbiale vanità siciliana prevede bei gesti e atti estremi, ma non l'ammissione dell'ingenuità, l'assimilazione di se stesso alla più banale delle normalità. Sùffuru! si risponde in Sicilia, e vuole dire "non mi riguarda e non scendo dal carro". Si dice suffuru! perché sul carro dello zolfo anche il contadino on the road, quello che voleva un passaggio, venne pesato come fosse una "balata" di zolfo, e dovette dunque pagare un tanto al chilo. Ma quando, all'inizio della salita, bisognò alleggerire il carretto e spingere, quel contadino rifiutò di scendere e di dare una mano: "Ho pagato come suffuru. Suffuru sono". Chi dunque vuole negarsi, non partecipare, non farsi coinvolgere, non scendere dal carro, appunto non dimettersi, ma soprattutto non fare la figura dello sciocco giufà, pronunzia quella parola, come un'esclamazione: suffuru! È fatta così la vanità siciliana di Trantino, non vuole concedere vantaggio neppure agli zoppi, non può "dare sazio" alla banalià dei pataccari: suffuru è. Anche perché lo zolfo è quella sostanza di cui sarebbe fatta l'intelligenza e dunque l'essenza stessa dei siciliani, "un'intelligenza di zolfo" che da sempre Trantino rivendica e teorizza nei libri, di raffinata scrittura e di rari lettori, che pubblica con la casa editrice Novecento e delle cui vendite, almeno una volta la settimana, chiede conto presso la libreria Paesi Nuovi, a due passi da Montecitorio. Sul risvolto di copertina della sua ennesima fatica, "Memorie di un pubblico cittadino", così Trantino riassume se stesso: "Enzo Trantino, costellazione vergine. Colleziona orologi, bastoni, cravatte ed emozioni. È, soprattutto, un pubblico cittadino, curioso ma discreto, intrigante ma con stile, inappagato sempre, perciò cronista inquieto di fatti, uomini e cose, destinati altrimenti all'impietoso archivio della memoria, che per sua natura non concede repliche". La vanità, dunque. Una volta, molti anni fa, Pippo Fava, lo scrittore catanese di cui da giovane Trantino era stato collega al Giornale di Sicilia, scrisse di lui: "È puro e trasparente come acqua di fonte, è onesto e solenne. Persino la vanità in lui è virtù meridionale, ma questa virtù è così rischiosa che potrebbe un giorno renderlo vano". Ecco, è facile capire che è proprio questa l'occasione nella quale Enzo Trantino dovrebbe essere più vanitoso della sua vanità, e dimettersi più che dalla presidenza della commissione Telekom Serbia dalla "mala comparsa", dimettersi per non farsi rendere vano dalla vantità o, se preferite, per riposizionarsi all'altezza di quella vanità che è stata la sua forza, la sua eleganza inattuale, la forbitezza e la compostezza del galantuomo meridionale, del suo essere monarchico perché affezionato al luccichio dei lampadari, ai cristalli e ai merletti, all'ufficialità, alla cerimonialità e al baciamani, al fiabesco prosaico e al principio d'autorità carismatica e anti-illuminista: la monarchia come il fiocco sgargiante di una confezione banale. Inoltre, come può farsi buggerare da Marini un penalista di Catania, la patria di Ciulla e di tutti falsari? A Catania un avvocato, prima ancora di essere un tecnico del diritto, è un modello antropologico, un uomo che si diverte a destreggiarsi fra i tranelli dell'oscurità, che sa riconoscere i pataccari solo sbirciandone l'ombra. Da sempre, proprio per difendersi dalla volgarità dei Marini, Trantino rischia la goffaggine e sconfigge gli scherni indossando le ghette e il frac bianco. Come avvocato si è rifiutato di difendere il boss Nitto Santapaola e di sicuro ora nessuno gli rimprovera la difesa di Dell'Utri; in Parlamento la sua presidenza della giunta per le autorizzazioni a procedere è, a sinistra, ancora oggi indicata a modello; persino negli anni bui del "fascista, carogna / ritorna nella fogna" per Trantino c'era sempre e comunque benevolenza, quasi avesse un posto riservato nella civiltà. Trantino può esercitare la rischiosa virtù della vanità meridionale distribuendo come volantini le lodi che Michele Serra fece al suo galantomismo e compiacendosi di incarnare la destra che piace alla sinistra, "ma so bene - va sostenendo - che alla fine il gioco della sinistra in Italia è quello di dare dignità d'avversario solo alla destra che si sposta a sinistra". Un giorno tenne una conferenza sulla droga all'ospedale Cannizzaro di Catania. Il pubblico era composto da medici e infermieri di destra. Trantino sostenne che la droga è una diavoleria comunista diffusa per collassare l'Occidente. Ma all'amico di sinistra che era lì per caso e che gli chiese spiegazioni, Trantino disse, con occhio divertito e complice: "Ho detto le puttanate che volevano sentire da un giurista di destra. Come potevo deluderli?". Un'altra volta presentando il libro dello storico Tino Vittorio su un eroe vero del comunismo siciliano, Franco Pezzino ("Una vita contro") ne esaltò "la moralità ineccepibile, la coerenza, la serietà e il senso di responsabilità", tutte qualità che ai suoi occhi di fascista monarchico oscuravano l'antifascismo repubblicano di Pezzino. E ancora Trantino ostenta il pizzetto alla Italo Balbo, non perché militarista ma perché aereo, è un eccentrico pizzetto da volante fine dicitore, con la piazza sempre piena ai comizi, i carabinieri in lacrime durante le arringhe, e il faccione sui manifesti elettorali sopra slogan che sono sempre calembour: il coraggio dell'onestà e l'onestà del coraggio; la forza dell'onore e l'onore della forza... I ragazzi del Msi lo chiamavano "il pensiero reversibile" e una volta, assieme ai manifesti con il solito calembour sul coraggio e sull'onore, ne stamparono per scherzo una decina con questo slogan sotto la sua faccia: "La presa per il culo e il culo nella presa". Trantino, che eccita e perdona la goliardia, li invitò tutti a mangiare nella sua bella casa dove donna Gemma prepara "il miglior gelato di mandorla del mondo", perché il gelato di mandorla è l'alfa e l'omega della gelateria: chi controlla la mandorla controlla l'umanità presa per la gola. E probabilmente fu in quell'occasione che gli chiesero se era vero che aveva avuto la stessa fidanzata del mitico "zio" Nino Buttafuoco, un altro missino storico e per bene della Sicilia. E Trantino rispose: "È vero, siamo stati commilitoni. Abbiamo militato nello stesso corpo... di donna". È così il sud, è così il galantomismo di destra, ed è così Trantino, eccelle nella retorica forense ma anche nella goliardia che è sempre triviale, perché il trivio è l'eversione del luogo comune, è l'irriverenza del nulla così come la retorica è la pomposità del nulla. Trivialità e retorica più che gusto in Sicilia sono, per dirla alla Trantino, surrogato di sostanza o sostanza di surrogato. La Sicilia è un'isola bagnata dalle parole, che sono attributi di potere, e la retorica forense è nata qui perché in una terra di domini cangianti i confini delle proprietà sono sempre incerti, sono un moto ondoso, un terremoto continuo che ha bisogno della sofistica, vale a dire dell'unica tecnica che riesce a legare e tenere ferme realtà in movimento, la retorica forense è il diritto delle cose storte. Questa è dunque l'antropologia del galantuomo di destra meridionale, un'antropologia che sta sparendo e che secondo noi merita invece di essere protetta, perché è un valore antico, e i conservatori vanno giustificati solo quando c'è qualcosa da conservare. Ebbene, l'unica maniera che ha Trantino per legittimare il proprio conservatorismo è conservare se stesso, quella sostanza di antico galantomismo che per la prima volta è gravemente a rischio. Trantino ha ragione a chiedere che Prodi, Fassino e Dini pronuncino le loro chiare parole contro i sospetti e contro i mugugni e che spieghino l'affare di Stato che li vide implicati oggettivamente, ma ha torto a farsi trattare da giufà da Berlusconi restando a presiedere una commissione che sembra ormai la trama di una commedia degli equivoci, il casting di una comica o di una parodia delle spy story, un film di James Tont. Trantino non deve nulla a Berlusconi, non è una delle tante zucche che quello ha trasformato in deputato, non è un cavallo che il cavaliere ha fatto senatore. Trantino ha da difendersi solo da Trantino, nessuno sta tramando contro Trantino se non Trantino. Deve dimettersi per amore di sé, per accensione ipernarcisistica, deve dimettersi dal fuoco della berlusconite che chiama i più candidi a gestire le ossessioni di Berlusconi, deve dimettersi perché un galantuomo suffuru è.
Francesco Merlo – La Repubblica, 1 Marzo 2004
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-La patacca Telekom e il burqa di Trantino-