Acate - Primo concerto in Sicilia, in questo 2010, per il funambolico pianista Stefano Bollani che porterà tutto il suo estro e il suo talento fuori dal comune alla Cantina Valle dell’Acate (Acate), lunedì 2 agosto alle 21,30, per il quarto appuntamento di Note di Notte Festival.
Eclettico, stravagante, poliedrico, Bollani è pianista geniale e artista curioso.
Nato a Milano e diplomato al conservatorio di Firenze, dopo una breve parentesi pop sceglie il jazz e avvia collaborazioni con tutti i grandi nomi del panorama nazionale ed internazionale: da Richard Galliano a Pat Metheny, da John Abercombie a Lee Konitz, da Miroslav Vitous a Uri Caine.
Ma il sodalizio più importante è certamente quello nato nel 1996, e mai interrotto, con Enrico Rava con cui tiene centinaia di concerti e incide ben quattordici album.
Musicista dal talento assoluto, Bollani vanta una ricca discografia e una lunga serie di riconoscimenti internazionali, sia come artista che per singoli lavori discografici.
Ospite delle più importanti rassegne, si è esibito sui palchi più prestigiosi del mondo: dalla Town Hall di New York al Teatro alla Scala di Milano.
Sempre in cerca di un nuovo stimolo, ha lavorato per il teatro, la danza contemporanea, la radio e la televisione. Ha inoltre pubblicato alcuni saggi e un romanzo.
Personaggio estroso, oltre che musicista di talento, è ambasciatore ufficiale di “Topolino” che gli ha dedicato una copertina e una storia al fianco di Paperino.
L’ultimo lavoro discografico, pubblicato da ECM alla fine dello scorso anno, si intitola “Stone in the water” ed è stato inciso a New York con Jesper Bodilsen al basso e Morten Lund alla batteria.
Nel febbraio 2010 è uscito il suo primo libro di spartiti che inaugura la collana Carisch Jazz (edizioni Carisch) ed è distribuito in tutto il mondo.
Anche in occasione del concerto di Stefano Bollani il pubblico di Note di Notte sarà accolto da un drink di benvenuto, servito tra le 20 e le 21,30, realizzato dalla Pasticceria di Pasquale grazie al supporto delle aziende Valle dell’Acate, Piombo e Ragusa Latte.
Il costo del biglietto è di 25,00 Euro. La prevendita è attiva presso tutti gli affiliati al circuito Box Office.
L'intervista
Cominciamo a chiamarlo col giusto titolo: dottor Bollani. Lo scorso 15 luglio, con solenne cerimonia sul palco di Umbria Jazz, Stefano Bollani ha ricevuto dalla Berklee University una Laurea Honoris Causa in jazz che si aggiunge al titolo accademico conseguito in conservatorio.
«Adesso chiamatemi Maestro dottore…», è il commento divertito del musicista che rivedremo sui palcoscenici siciliani, con il Piano solo tour, il 2 agosto alle Cantine Valle dell'Acate dell'omonimo paese per "Note di notte" ed il 3 agosto all'anfiteatro di Zafferana Etnea per "Etna in scena".
Non chiedete mai a Bollani cosa suonerà quando è solo davanti al suo piano perché non lo sa finché non appoggia le due dita sui tasti. Piano Solo è un viaggio nella sua musica interiore, nelle sue emozioni, passando dal Brasile alla canzone degli Anni 40 fino ad arrivare ai bis a richiesta in cui mescola brani come se fosse un dj.
Ma il jazz non era nato per strada, ha bisogno di un titolo di studio?
«E' proprio quello che ho pensato quando mi hanno dato il titolo: per essere una musica nata nei bordelli ha fatto un bel percorso. In effetti c'è da fare un applauso al jazz: è nato per strada e oggi se ne parla all'università. Sono molto contento perché non è detto che una cosa che nasce in strada debba rimanerci per sempre».
La "storia" di Bollani recita che comincia prestissimo, a sei anni, a cantare, e quasi come Alfieri "fortissimamente" vuole suonare il pianoforte che ormai lo accompagna da più di 30 anni. Ma qual è il rapporto fra il musicista e lo strumento?
«C'è da dire, innanzitutto, che da piccolo io volli, fortissimamente volli, più che suonare un pianoforte stare su un palcoscenico e fare il cantante, l'attore, l'imitatore… Il pianoforte mi serviva per accompagnare la voce, poi è nato il grande amore.
C'è anche da considerare che il pianista è infedele, suona sempre uno strumento diverso, non è come il trombettista che non si separa dalla sua tromba. Posso dire, comunque, che sono facilitato: incontro sempre pianoforti bellissimi, molto più belli di quello che ho a casa».
Agosto è un mese zeppo di date, tra "Piano solo", i duetti con Enrico Rava o con Chick Corea, i concerti con i Visionari. Ma veramente la vacanza intelligente è quella per lavoro?
«Io le vacanze, semplicemente, non le faccio. Non mi piacciono, mi annoiano. Non visito neanche i posti dove vado a suonare anche perché quasi ogni sera suono. Ma in questo ho un illustre predecessore: Duke Ellington».
Qualche giorno a Genova, a fine concerto, riproponendo "Legata ad uno scoglio" ha reso omaggio alla memoria di Lelio Luttazzi, una sorta di precursore, uno che univa la buona musica e uno spiccato senso di ironia.
«Lelio - al pari di Armando Trovajoli, Gorni Kramer, Piero Umiliani, o Johnny Dorelli - faceva parte di quella schiera di musicisti italiani che volevano fare il jazz e non lo hanno potuto fare. Luttazzi, me lo ha confermato personalmente, ne era molto dispiaciuto ma nello spettacolo italiano degli Anni 50 e 60 ha dovuto fare lo showman, perché non c'era spazio per il jazz. Quando l'ho incontrato a casa sua, ho trovato una persona un po' depressa, perché, secondo me sbagliando, pensava che l'intrattenimento leggero fosse meno importante della musica vera.
Per questo mi reputo una persona fortunata: anch'io faccio lo spiritoso in tv col Dottor Djembè ma è una cosa in più che potrei anche non fare perché non mi dà da vivere. Lelio e gli altri meritano un monumento perché sono stati talenti puri e hanno fatto cose meravigliose pur volendone fare altre ancora più belle».
A proposito di Djembè, a giugno abbiamo visto la versione televisiva. Il critico Aldo Grasso ha massacrato il programma ma ha salvato il "soldato" Bollani. Si sente un po' l'erede di Renzo Arbore?
«Assolutamente no, anche se Djembè ha molto dei programmi di Arbore, si può considerare figlio di Alto gradimento. Ma se già per Arbore in questa tv non c'è più posto, figuriamoci per i figli di Arbore. Dottor Djembè è andato in tv perché partiva dal successo radiofonico, ma se avessimo proposto il programma dal nulla non lo avrebbero accettato mai. C'è troppa paura per programmi che si fondano sull'improvvisazione.
E con tutto che mi ha salvato, lo conferma Aldo Grasso dicendo che è un programma troppo intellettuale, per pochi. Allora non si lamenti pure della semplicità dei programmi della De Filippi. Grasso sbaglia anche quando si lamenta di Davide Riondino e Mirko Guerini: ma se io funziono è perché c'è una squadra che funziona. Ma avete mai pensato a Totò senza Mario Castellani o Peppino De Filippo?».