Pietrangelo Buttafuoco, giornalista, scrittore, polemista. In Il Lupo e La Luna, il suo ultimo libro, edito Bompiani, si muove tra il vero, il verosimile, il fantastico, l’avventuroso. Tra la fiaba e la storia. Dimostra che gli opposti si attraggono. E mentre mette nero su bianco quello che i pupari non hanno mai scritto descrive una Sicilia stupenda, le sue coste e i suoi monti oltre l’Etna.
Etichettare è spregevole. Ma questo libro inizia ad incuriosire dalla prima pagina. E chi legge cerca di incasellarlo. Romanzo, fiaba. Storia fantastica, leggenda. Lei come lo definirebbe?
PUn romanzo basato su una storia vera, un racconto fiabesco in ragione della materia trattata: l’avventurosa vita e il faticoso destino di un comandante ottomano, gran visir e “rinnegato”.
Questo libro le è venuto benissimo. Deve ammettere però che scrivendolo a ottomani è un bel vantaggio.
Nel senso della battuta “ottomani”?
Questo libro può incontrare al contempo l’interesse dello studioso ed affascinare il giovane adolescente come un romanzo di formazione.
Ma se le dico che questo libro ha il pregio di poter essere letto ai bambini prima di andare a letto, cosa mi risponde?
Magari. Avrei portato a termine il compito prefissato. Farne un cuntu, uno di quelli che mi restò appiccicato negli occhi, ancor prima che nelle orecchie, durante la mia infanzia. Magari, dunque.
Ma oggi c’è ancora qualcuno che ha l’istinto del lupo. Che ha ardimento. Non pensa che abbiamo smarrito tutto questo. E che siamo più simili a Joachim Pasenow invece che a Scipione Cicala?
Le pagine de “I sonnambuli” appartengono ad un preciso tipo umano, un europeo il cui spirito è esaurito rispetto al romanticismo e alla passione. La vicenda di Scipione Cicala, storicamente, è quella di un potente soldato. Sostenuto da un lievito esistenziale qual è l’Islam. Detto questo siamo simili a Pasenow.
Scipione Cicala, cristiano, rapito, diventa musulmano. Ottomano, rapitore. Capita spesso alla Sicilia che i suoi figli migliori spesso le si scaglino contro. Perché?
Perché la Sicilia, a un certo punto, diventa Sicilia. Sarà per insofferenza verso la tautologia. Ad ogni modo: non me lo so spiegare.
La donna giganteggia. Madre, terra, casa, sacrificio. Chi è Nur oggi?
Nur, nel Lupo e la Luna, è la nutrice di Scipione, dunque ancella di donna Lucrezia, madre del Sinan Pascià. La donna giganteggia secondo regola di natura. Così donna Selene, la dama che fa innamorare Scipione fino a prenderlo con sé, per sempre.
Nel finale, nel ritorno a Messina di Cicalazadè abbiamo percepito il verificarsi ineluttabile di quel diritto che la Sicilia, la Ionia di Gorgia e Anassagora, esercita attraverso la legge dell’appartenenza su coloro ai quali ha dato i natali. Quella che Manlio Sgalambro cita alla fine di Perduto Amor. Che ne pensa, è d’accordo?
Sono sempre d’accordo rispetto a ciò che scrive, dice e canta Manlio Sgalambro. Fin dai tempi de La morte del Sole.
Il linguaggio ha un equipaggiamento semantico particolarissimo. Appropriato. Sembra che ha fatto provviste al mercato della spezie di Istanbul, sotto la Torre di Galata. Come ha fatto per elaborarlo?
Mi sono documentato. Ho lavorato molto con le fonti. Inevitabilmente sono stato catturato da quel linguaggio. E da quelle sonorità.
Vittorini diceva che la Conversazione raccontava di fatti che potevano essere ambientati ovunque, non necessariamente in Sicilia. Il Lupo e La Luna se non Sicilia dove ?
E’ una storia nata in Sicilia da un innesto ligure per poi fecondare ad Istanbul e rifulgere fin nelle cime d’Himalaya.
La Sicilia che lei descrive è stupenda. In particolare quella delle coste. La Sicilia vista dal mare. Sciascia però ammoniva i suoi conterranei orgogliosi della propria posizione. In quella straordinaria varietà di approdi stava e tuttora rimane la più grande debolezza. L’ indifendibilità della sue coste . Cosa ne pensa?
In verità la Sicilia non sa vivere del mare, col mare e sul mare. E’ il vero grande ritardo politico, culturale e sociale di una terra che venne forgiata per la grandezza e deve, purtroppo, rassegnarsi alla periferia.
Congediamoci.
Baciamo la mani
Sabbenedica