Scicli - “Andavamo tutte le sere a cena in osteria, Elio Petri mi disse che stava iniziando le riprese di un nuovo film. In una scena sarebbe dovuto apparire un pittore informale. Vuoi farlo tu? –mi chiese- Accettai. Avevo 27 anni”.
Piero Guccione rivela, a distanza di cinquanta anni dal suo esordio cinematografico, avvenuta appunto nel 1962, la sua apparizione, l’unica, nel mondo del cinema. Si tratta di una informazione ad oggi ignorata da tutte le biografie, ufficiali e non, anche perché il maestro di Scicli, amico personale di Luchino Visconti (“un gran signore”, ricorda Piero), di Bernardo Bertolucci, di Valerio Zurlini (regista de “Il deserto dei Tartari”) e di Mauro Bolognini (firmò “Il Bell’Antonio”), è notoriamente tipo schivo e riservato.
Elio Petri è uno dei registi italiani che meglio ha saputo cogliere e descrivere nel suo cinema la turbolenta realtà degli anni Sessanta e Settanta.
Noto soprattutto per i suoi film di impegno civile, “A ciascuno il suo”, “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e “La classe operaia va in paradiso”, che gli hanno valso premi prestigiosi a livello internazionale, per “I giorni contati”, Petri si avvale della collaborazione di Renzo Vespignani, Graziella Urbinati e Giovanni Checchi impiegati rispettivamente come esecutore delle incisioni per i titoli e scenografo, costumista e architetto arredatore. Sono i suoi amici pittori facenti parte della cosiddetta “Banda del Portonaccio” con i quali Elio si incontra ogni giorno al Caffè Rosati. Tonino Guerra, che Vespignani aveva introdotto nel gruppo del Portonaccio, scrive con Elio la sceneggiatura. Piero Guccione interpreta la parte di un pittore informale. Il film, del 1962, dura 106 minuti.
Cesare (Salvo Randone), assistendo su un tram alla morte di un passeggero della sua età, decide di riprendersi la sua esistenza smettendo di lavorare. Si dedica a nuovi svaghi: legge “I Miserabili”, gioca a carte, visita Galleria Borghese, rincontra un suo vecchio amore. Ma l’utopia di poter vivere ribellandosi al sistema finisce presto e Cesare torna a lavoro.
Guccione appare in una scena singolare. Cesare-Salvo Randone incontra un mercante d’arte, che ne deride l’ignoranza. Che mestiere fate? “L’idraulico”. Il mercante lo porta a casa per fargli vedere i suoi quadri post moderni, dalla cifra stilistica incomprensibile. Lì Randone incontra Piero Guccione, intento a dipingere un quadro. Il mercante presenta in maniera frettolosa i due: “Questo è l’idraulico”. E Guccione indica la strada per arrivare dritti dove c’è un guasto idraulico. Il mercante si giustifica: “Questi pittore mi intasano le condutture idriche sversando le vernici. Ecco, il guasto è qui”. Petri gioca sulla delusione del protagonista, che pensava di essere stato ammesso nel Sancta Sanctorum della pittura moderna perché amante, per quanto neofita e ignorante, di arte, e invece viene trattato come un qualunque operaio che è lì solo per aggiustare un rubinetto.
“Accettai di recitare, una particina breve, di fare un cameo, come si dice in questi casi, per amicizia nei confronti di Elio Petri. Non l’ho mai rivelato, ma ho una piccola carriera, subito abortita, di attore, alle mie spalle”.
Guccione prosegue: “Erano anni in cui capitava di incontrarsi la sera con Luchino Visconti, alla galleria Il Gabbiano di via della Frezza, ci frequentavamo molto con Bernardo Bertolucci. Ho saputo della sua malattia, che lo ha costretto sulla sedia a rotelle. Ho visto con piacere, che ha reagito, e ora ha risposto alla depressione facendo un film. Sono contento”.