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Io, guida di turistica di acculturate signore americane

Colte, raffinate (nonostante fossero americane)

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Ragusa - Da adesso in poi scriverò cose già scritte, già dette, “boried” direbbero gli anglofili. Ma è bene riscrivere, ridire, ricordare, anche a costo di essere boried. Per il semplice, semplicissimo motivo che ne va del nostro futuro. E non sono catastrofista, anzi. Per il fatto stesso che ne scrivo dimostro il mio ancora intatto (insomma) ottimismo riguardo al nostro futuro. Quando scrivo “nostro” intendo di noi siciliani tutti e di noi iblei in particolare.

Mi è capitato, e mi capita abbastanza spesso e sempre più spesso me ne compiaccio e ne approfitto, di fare da guida turistica per Ibla, Modica, Scicli, Pozzallo, Castello di Donnafugata, Kamarina, Marina di Ragusa, ad un trio di turiste. Tre signore americane. Liza, Natasha e Caterina, from Washington DC. Insomma, la capitale politica degli Stati Uniti d’America, quella città che loro chiamano “Capitol Hill”. Tre signore di upper class, colte, raffinate (nonostante fossero americane!) le due maggiori nate in Croazia da famiglie russe e la minore nata in USA.

Quattro giorni intensi di visite e curiosità, domande e specialità culinarie, col mio stentato inglese e l’aiuto del mio amico Stelio e di mia moglie che invece – miatidi! - padroneggiano la lingua anglosassone. Le tre signore americane hanno provato anche “il bagno di folla” della patronale festa di San Giorgio in Ibla (durante la quale non sono riuscite a capire perché quel popolo di fedeli stesse fischiando un politico “a senator, unbelievebel!”). per farla breve, quattro giorni che loro stesse hanno definito unforgettable, per monumenti e stradine, per cattedrali e spiagge gialle.

Però, c’è un però, altrimenti non avrei scritto nulla. Però tutte e tre, più o meno espressamente, mi hanno riferito il loro stupore relativamente al fatto che questa nostra “gold mine” non è adeguatamente sfruttata, ma nemmeno lontanamente utilizzata. Natasha, che a Washington lavora al Hillwood Estate Foundation, un museo privato tra i più belli d’America, dove, tra le tante altre cose che mi ha spiegato, hanno una collezione di icone russe e di uova di Fabergè, e poi una piccola collezione d’arte francese ottocentesca. Insomma, a sentire Natasha, nulla rispetto a quello che lei stessa ha visto dietro le vetrine del piccolissimo museo di Kamarina. Però, eccoci, però mi ha spiegato anche che a Hillwood gestiscono un bookshop di venti metri quadri dove vendono il catalogo della collezione, alcune magliette, i poster e piccola gioielleria: un milione di dollari di fatturato ogni year. Tra la polvere alta un palmo all’interno della Torre Cabrera di Pozzallo, dove si entra senza pagare alcun ticket, Lisa non è riuscita a capire perché un’ancora di un vascello affondato alla Marza mezzo secolo dopo la morte di Cristo fosse sul pavimento, e Caterina non ha ancora capito che la dieta mediterranea nulla ha a che vedere con le schifezze che mangiano loro (ma al secondo giorno ha iniziato a fare gran festa a caciocavallo, ravioli, cioccolata e cerasuolo di Vittoria).

Inutile aggiungere altro, anche perché alcuni loro sorrisetti e mezze frasi in velocissimo americano mi hanno impedito di capire. Ma c’era poco da capire: per idiota mi hanno preso e per cretino mi hanno lasciato. Ed hanno ragione, da vendere. Perché io sono un cretino, come molti, non tutti, i miei conterranei, che ancora oggi ci affidiamo a politici che di industria turistica hanno riempito giornali e programmi elettorali. Ma nell’area archeologica di Kamarina, fondata mezzo millennio prima di Cristo, non si può andare perché il vento ha divelto le coperture dell’agorà e le zecche aspettano solo le bianche gambe delle signore.

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