Cultura Scicli

L’eredità di Pietro Di Lorenzo detto Busacca

Una ricerca del prof. Paolo Militello

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Catania -  Regno di Sicilia, mese di luglio, anno del Signore 1567. Pietro di Lorenzo, detto "Busacca" - d'ora in avanti lo chiameremo così - sta rientrando a Palermo dopo il suo consueto viaggio d'affari a Monreale. È un uomo ormai maturo, ricco, uno dei banchieri più conosciuti della capitale. Le sue origini vengono da lontano, dalla Sicilia «africana»: è, infatti, figlio di Scicli, un piccolo paese della contea di Modica, nell'estremo lembo della Sicilia sud-orientale, estrema frontiera della Cristianità contro il pericolo del Turco «infedele».

Durante il suo viaggio, all'improvviso, Busacca ha un malore. Costretto a letto, nel giro di pochi giorni muore. Probabilmente, negli ultimi momenti della sua esistenza, davanti ai suoi occhi saranno passati i momenti più importanti della sua vita (della quale, purtroppo, sappiamo molto poco). L'infanzia e la giovinezza a Scicli (almeno fino agli anni Venti del Cinquecento), in una importante famiglia di ebrei convertiti (da qui, forse, il soprannome Busacca) dediti al commercio dei grani e all'industria dei mulini. Successivamente, ospite della ricca e prestigiosa famiglia sciclitana dei Bonincontro, il trasferimento nella «felice» Palermo, città effervescente, popolosa, ricca, frequentata da mercanti provenienti da tutte le «nazioni» - genovesi, napoletani, veneziani, catalani,  ragusei, maghrebini (solo per citarne alcune).

E, a partire dal 1549, l'inizio del «commercio». Prima un piccolo giro di «mercature» con le esportazioni del frumento e poi, via via, operazioni finanziarie sempre più importanti, non solo con mercanti e imprenditori, ma anche con baroni, conti, marchesi e addirittura prìncipi, come i Ventimiglia, per arrivare, infine, a partecipare alla gestione del debito pubblico del Regno di Sicilia, (un Regno che era ormai parte integrante dello sterminato Impero di Carlo V d’Asburgo «su cui non tramontava mai il sole»: dal Nuovo Mondo all'Europa orientale, dai Paesi Bassi all'arcipelago maltese e alla città di Tunisi). 

Busacca si arricchisce sempre più, ma non dimentica certo il suo paese natale, e quando fa testamento, oltre a disporre di ciò che sarebbe rimasto del suo corpo e del suo patrimonio, lascia tutto ai parenti e agli Sciclitani.

Innanzitutto consolida il legame con il luogo che lo vide nascere, e dispone che da Palermo il corpo venga portato nella cappella di famiglia a Scicli, all'interno di Santa Maria La Nova, la chiesa della confraternita della quale i Di Lorenzo facevano parte (anche se pare che la traslazione non fu eseguita e che le sue ceneri andarono probabilmente disperse durante la seconda guerra mondiale, nel bombardamento americano di Palermo).

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Per il patrimonio, poi, attua un'operazione sicura e redditizia: vende all'asta tutti i beni (case, mobili e anche schiavi) e deposita il ricavato nel Banco pubblico (la Tavola di Palermo) con lo scopo di acquistare rendite sicure. Il capitale è destinato a crescere in maniera esponenziale, con un fine ben preciso: l'assistenza e la beneficienza. Viene, così, applicato il tradizionale atteggiamento di carità cristiana tipico della società europea cinquecentesca: un grosso lascito, una carità ostentata, che da un lato diventa speranza di remissione dei peccati e dall'altro rappresenta un'affermazione di prestigio e di ricchezza.

Obbedendo ai precetti di San Bernardino da Siena, la generosità di Busacca segue precisi criteri di precedenza: innanzitutto la famiglia del benefattore e, poi, i compaesani, purché virtuosi. Vengono, quindi, disposti lasciti, elemosine, denari per la fabbrica della chiesa, soldi destinati al riscatto di coloro che erano stati catturati dai Turchi ma, soprattutto, «legati di maritaggio e di monacazione»: venti onze per ogni sua consanguinea (povere «vergognose», cioè di famiglie che, pur essendo in miseria, appartenevano alla linea di parentela del testatore) o, in mancanza di queste, per altre «donzelle povere» di Scicli e della contea di Modica.

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Ogni anno, così, l'otto di settembre (ricorrenza annuale della Natività della Vergine e festa della Confraternita) i Rettori di Santa Maria La Nova erogavano la preziosa dote a zitelle vergini, bisognose o inabili, che avessero compiuto il sedicesimo anno di età. Quasi tutte le famiglie di Scicli vennero coinvolte in questo circuito virtuoso - una sorta di finanza etica - che distribuiva parzialmente la ricchezza dai ceti alti alle classi popolari.

I Rettori di Santa Maria La Nova diventarono veri e propri banchieri, anche se, da questo punto di vista, l'esperienza e la scaltrezza di Busacca furono più che evidenti. La sorveglianza contabile di tutto questo patrimonio venne, infatti, affidata all'altra confraternita della città, quella di San Bartolomeo, e il denaro liquido venne riposto in una cassaforte che poteva essere aperta solo da tre chiavi: una la teneva il rettore di Santa Maria La Nova, una quello di San Bartolomeo e la terza il Vicario di Scicli.

L'eredità di Busacca accompagnò, quindi, nei secoli successivi, la vita degli Sciclitani, sostenendoli durante la normale quotidianità e nei momenti di difficoltà, come le carestie e le epidemie, che funestarono la Sicilia tra Cinquecento e Seicento (in particolare la «grande peste» che, mietendo circa sette-ottomila vittime, ridusse di due terzi la popolazione sciclitana); o le calamità naturali, come il terribile terremoto del 1693, che con le sue scosse rase al suolo quasi tutta la città (ricostruita successivamente in un superbo e particolare stile tardo-barocco); o, ancora, i conflitti, dalla Guerra di Successione spagnola ai moti e alle rivoluzioni dell'età risorgimentale.

L'oro di Busacca fu anche al centro di aspri conflitti e di liti furibonde, non solo tra l'amministrazione centrale e quella periferica (giudici e consulenti a Palermo, Rettori e amministratori a Scicli) ma anche tra le due collegiate del paese: violenti contrasti, dove le dispute «genealogiche» (tutti, in qualche modo, cercavano di entrare nella linea familiare di Busacca, senza preoccuparsi del danno arrecato ai veri bisognosi) si intrecciavano ai problemi politici e alle liti legate al cantiere infinito della «fabbrica» della chiesa.

Una svolta si ebbe con l'unificazione. Nell'Italia unita, l'eredità fu impiegata in una «pietrificazione» della rendita e i proventi vennero utilizzati per completare l'impianto urbanistico e le infrastrutture civili della nuova città. Dapprima fu costruito il superbo Palazzo Busacca, destinato ad ospitare gli uffici amministrativi dell'omonima Opera Pia, con il prospetto affacciato sulla nuova Via Nazionale (ricavata dalla sventramento della vecchia via Maestranza - vero e proprio intervento di haussmanizzazione) e con il lato più monumentale, impreziosito da un magnifico orologio, ad abbellire Piazza Busacca. Qui i confrati fecero collocare una splendida statua del benefattore e un'epigrafe che lo faceva «grande nei secoli». Successivamente, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo successivo, i proventi servirono a realizzare una «città ospedaliera», l'Ospedale Busacca, un avveniristico «policlinico» a padiglioni isolati e distinti secondo le malattie.

Ma il processo virtuoso, innescato dall'eredità, sarà destinato a interrompersi durante la prima metà del XX secolo. La svalutazione, infatti, intaccherà in maniera drammatica il patrimonio che, giorno dopo giorno, perse quasi tutto il suo valore. Le doti che venivano distribuite ormai non valevano più nulla.

Oggi l'oro di Busacca non c'è più. Restano soltanto le opere che portano il suo nome, a memoria di un gesto di generosità durato più di quattro secoli.

 

 

Nota bibliografica

Il principale testo di riferimento su Pietro di Lorenzo, detto Busacca, rimane quello di Giuseppe Barone, L'oro di Busacca. Potere ricchezza e povertà a Scicli (secoli XVI-XX), Sellerio Editore, Palermo 1998. Ringrazio don Ignazio La China (autore di un interessante articolo sull'argomento, pubblicato sul numero di giugno 2007 del giornale sciclitano "Dibattito") per le indicazioni e i suggerimenti.

 

 

 Nella foto di copertina, Probabile ritratto di Busacca. Particolare da un dipinto anonimo del ‘600 raffigurante il beato Guglielmo, individuato da Paolo Nifosì a Palermo presso la Chiesa di S. Anna la Misericordia. Foto Luigi Nifosì.

A seguire, Cartolina della prima metà del Novecento.

E quindi, Scicli nel 1925. Particolare con l’Ospedale Busacca (Foto Giustino Santospagnuolo)

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