Tra i maxi volumi che, tra panchina e istallazione e metafore, ridisegnano lo stile e l’immaginario di Piazza San Giovanni, la prima parola spetta al tocco brioso di Alicia Giménez-Bartlett, la giallista più amata dagli italiani, come la etichetta Alessia Gazzola, chiamata a conversare, insieme al direttore editoriale della kermesse Ippolito, con l’autrice. La quale, in ouverture, tenta di spiegare il segreto delle malie che la sua penna esercita sugli italiani “un pubblico intelligente e ironico – dice Alicia in un sorriso sapiente – capace di prendere la vita in lontananza, cosa che è importante per me e per Petra”. Si riferisce chiaramente a Petra Delicado, l’ispettrice della polizia di Barcellona, protagonista della serie che ha posato sulla fronte della Giménez-Bartlett il sacro crisma della popolarità massima, nel suo paese, ma anche oltrefrontiera. In Italia, per esempio, che la scrittrice omaggia ambientando un suo libro nel nostro Paese, “con grande coraggio da parte mia – spiega – perché è difficile parlare dell’Italia agli italiani, da straniera”. Specie perché qui corre d’obbligo il confronto con Andrea Camilleri, un confronto che non crea alcun imbarazzo alla Giménez-Bartlett.
La conversazione è incentrata sulla galleria dei personaggi che bussano pirandellianamente alla sua fantasia, prima tra tutte l’ispettrice, “una donna rude ma capace di umanità”, nelle parole della Gazzola. Per correre poi alle matrici dell’ispirazione della scrittrice, che popola, è vero, la sua pagina di figure legate pure alla storia, come Virginia Woolf, ma che trae linfa primaria dall’attualità e dalla gente semplice: “mi ispiro a quelli che sono diventati problemi sociali, come la pornografia infantile su internet”. E per concedere spazio anche alla tematica complessa del prossimo libro, che, in linea col ‘femminismo’ della scrittrice (che afferma di avere però una buona opinione dell’uomo, del padre, dei suoi mariti), tratterà della prostituzione maschile per le donne: “ho appreso che nella società medioalta molte quarantenni professionalmente affermate vivono in solitudine, non hanno tempo per l’amore, non coltivano più la voglia di essere in coppia. Trovo questo dato davvero inquietante”.
Poche mattonelle di distanza, si diceva, intercorrono nel cuore storico di Ragusa tra la Giménez-Bartlett e Travaglio. Pochi passi ma pure un approccio al reale assai differente. Il nucleo caldo attorno a cui ruota l’attenzione vigile di Marco Travaglio è la politica, coi suoi retroscena, con le pagine scure sulle quali il giornalista (“che non sia scendiletto”), al servizio dei cittadini, ha l’obbligo etico di gettare luce.
Il libro festeggiato è “Viva il re”, un’opera ponderosa, anticipa Sandro Vero che conduce l’incontro, di oltre seicento pagine, un “romanzo Quirinale”, dedicato monograficamente al Presidente Napolitano. Le ragioni del saggio, animato da una robusta corda polemica, sono subito chiarite dallo stesso Travaglio, che ci racconta le direttrici dell’opera: “Ho scritto questo libro perché, dopo l’uscita di una decina di libri encomiastici sul nostro Presidente, era corretto equilibrare le pubblicazioni, in modo che gli storici, quando analizzeranno questo periodo, avranno pure altri elementi su cui riflettere”. E, con l’intento programmatico di “provare a fare il contraltare delle beatificazioni di Giorgio Napolitano (che ha pure scritto di se stesso: un caso di auto agiografia)”, Travaglio conduce la sua analisi lucida e pure personale di una porzione rilevante di storia contemporanea, soffermandosi sugli ultimi tre governi, sui risultati delle elezioni, che hanno manifestato la volontà palese, negli italiani, d’un cambiamento. Una volontà, afferma Travaglio, puntualmente mortificata, come perfettamente si comprende “in una zona Tomasi di Lampedusa: a che serve votare, con una forza dirompente pari a quella dell’anno scorso, se poi non cambia nulla?”. Su quelle che valuta responsabilità del “ri-presidente” intrattiene le sue argomentazioni Travaglio, indossando – gliene si deve dare atto – quella che Benjamin definisce vis cannibalesca, propria dello scrittore autenticamente satirico, distante dalla parodia ipocrita, qualunquista.
La Sicilia