Scicli - Tutte le volte che lo vedo dietro a una consolle e lo sento suonare dal vivo mi ritrovo, d’improvviso, con tutti i capelli in testa, trenta chili in meno, abbronzatissimo, ai piedi le Sisley e addosso una t-shirt della Best Company.
Eravamo poco più che adolescenti, narcisi esibizionisti delle costosissime marche d’abbigliamento che ci vestivano, però, tutti uguali, quando Maurizio Lessi, il Dj che ha fatto ballare almeno due generazioni di ragusani ha iniziato a suonare in giro per le discoteche del territorio e che, all’alba di una carriera artistica che tra poco festeggerà quarant’anni, fa divertire ancora il popolo della notte in Italia.
Dall’esordio, a metà anni ottanta –coi dischi passati quasi a fine serata- nelle prime estati di ballo e divertimento al Koala Maxi, la più grande discoteca del sud Italia, alla consacrazione artistica come Dj resident dell'Arcadia in versione invernale ma anche estiva, per far girare i vinili, poi, sui piatti della mitica “La Fazenda” e degli altri club più o meno di tendenza del territorio.
Una carriera artistica sempre in crescendo che lo consacra, giovanissimo, come uno dei migliori Dj italiani, reclamato dai club di tutta Europa, dal Pascià di Riccione al Vogue di Granata in Spagna, U-Matic Future Club di Atene in Grecia, così come in Germania, Francia, Polonia e Croazia.
Avere una “cassetta” registrate live da Maurizio durante una serata in disco e riascoltarla con le cuffie in riproduzione continua sul proprio walkman -targato rigorosamente Sony- era un privilegio vero e proprio, per pochi ma non per tutti!
Vinili, piatti, cassette registrate, walkman. I ventenni di oggi devono ricorrere a wikipedia per scoprire di cosa stiamo parlando. Eppure, noi, ragazzi di ieri, la musica l’ascoltavamo così, con quegli strumenti appena citati che appartengono al neolitico delle riproduzioni analogiche del suono. Trent’anni fa gli mp3 non esistevano e la Apple non aveva ancora inventato l’iPod!
Analogica ma pura, corposa e vera, o forse, riducendo la definizione a un solo aggettivo sarebbe più corretto definirla “autentica”; questa era la musica del nostro passato. Se ancora oggi i pezzi più suonati in radio e stra-ballati in discoteca pescano campioni (sample) dalle canzonette pop e dalla discomusic di ieri, un motivo ci sarà.
La modernità e la tecnologia hanno solo velocizzato la vendita e la cottura del pezzo musicale che viene oggi impastato, lievitato e messo in forno in un batter d’occhio e, allo stesso tempo, ha offerto poco e nulla, tranne casi sporadici, alla creatività e all’estro di chi la musica, per mestiere, deve proporla al pubblico.
E il nocciolo della questione risiede proprio qui, nella figura del dee jay.
Il Disk Jockey di allora sgobbava seriamente sui dischi, studiava i battiti delle canzoni come fosse un cardiologo alla ricerca di un tracciato parallelo e melodico che faceva di un set un’unica, lunga, pregevole armonia.
Nel presente, tutto ciò non esiste più. La selezione della musica da proporre al pubblico è stata affidata a un computer e all’ordinamento poco casuale dei programmini che sistemano i dischi per battiti al minuto: nessuna sequenza di stile e di suono, nessuna successione armonica. Playlist da suoni incoerenti e incompiuti a svantaggio non solo di chi ascolta ma anche delle produzioni musicali in esse contenute.
Un tempo, fino a 10-15 anni fa, i dj(s) in provincia, solo per circoscrivere il fenomeno all’interno dei confini territoriali, si potevano contare sulle punte delle dita di una sola mano. Oggi è un germoglio continuo di diskjokey dal ciuffo fluo o ciclamino, assunti alle consolles ultra portatili degli happy hour solo perché possessori di un MacBook pieno zeppo di mp3 e, lato contabile, assoldare le nuove leve costa poco meno di un long drink e di una bagattella messi assieme.
Anche mio figlio, oggi, a 11 anni, potrebbe sostenere l’onere di una serata in disco passata alla consolle senza nemmeno conoscere quello che sta suonando. Tanto alla scelta della musica così come al passaggio da una canzone all’altra ci penserebbe il computer e il fido tasto Sync degli harware e software tanto cari alla Pioneer e alla Native Instruments, solo per citare due marchi.
Gli strumenti di riproduzione musicale attuali, dai mixer ai lettori di cd e chiavette usb (detti cdj) fino alle iper-illuminate consolle tutto in uno guidate da software ad hoc, hanno aperto le porte al sogno dei ragazzi italiani e non di stare dietro una consolle. Il risultato, però, è stato tutt’altro che felice. Si è allargata la platea dei moderni “suonatori” da disco e da chalet ma s’è perduta la professionalità.
Sarà che noi quarantenni siamo stati allevati a pane di casa e buone melodie (non solo Rock ma anche disco) e nel confronto col passato musicale, in tutte le sue declinazioni, la modernità ci perde e pure di brutto. Sta di fatto che negli ultimi vent’anni il gusto del pubblico in ambito musicale è mutato, o meglio, si è adeguato alla mediocrità dilagante delle produzioni attuali. Nonostante le facilities che offre la tecnologia, oserei dire.
Lo stesso accade nel mondo dei Dee jay.
Pochi professionisti in giro, poche idee, pochi talenti. Bastava dare un’occhiata al programma Top Dj per rendersene conto, un talent show promosso da Sky in primavera, dove un gruppo selezionato di giovani Dj e producer si è confrontato per alcune settimane su prove musicali di varie abilità. Escludendo il vincitore, vero e proprio fuoriclasse della consolle, e la sicilianissima e preparatissima e affascinante assai, Georgia Lee, tutti gli altri hanno dato prova di scarsa preparazione tecnica, zero cultura musicale, zero creatività, zero appeal. Con le sonorità tecno e il sincronismo automatico dei dischi offerto dalle consolle di nuova generazione la sufficienza in pagella la raggiungevano tutti; ma alla prova Disco anni 70, con le canzoni suonate a mano e dalla battuta irregolare, lì dove il Dj “o conosce il pezzo o ci deve levare subito mano per non pigliare malafiure”, sono andati tutti in palla. Le promesse del Djing italiano targato 2014 non conoscevano manco i titoli delle canzoni di un passato che ha fatto la storia della musica per discoteca, figuriamoci metterli assieme per un dj set.
Eppure la tecnologia applicata al suono se affidata a mano esperte ti lascia a bocca aperta. Basti pensare ai remix, un tempo prerogativa di case discografiche blasonate e oggi, invece, con una consolle da poche centinaia di euro, accessibili a tutti coloro che vogliono cimentarsi in una produzione musicale fatta in casa.
Ma non tutti sono in grado di utilizzare al meglio quel che per gli addetti ai lavori era fantascienza in campo musicale fino a due decenni fa.
La foto del “prodotto dj” che ci ha mostrato la trasmissione di Sky, TopDj, è la stessa che fa bella mostra di sé, si fa per dire, dietro le consolle musicali allestite con lo scopo di allietare gli “apericena” nei lounge bar e anche per tutti gli usi del divertimento dance della notte ragusana, italiana.
Con le dovute eccezioni, ovviamente.
Maurizio Lessi, cinquant’anni (portati col sorriso e il ciuffo biondo di sempre), Dj per scelta e di mestiere, ma con un passato anche da Quadro Eni, tanto per sottolineare la sua composita formazione professionale, è stato quello che, ad inizi anni '90, tanto per citarne una, s'inventò la carrellata revival -dal down beat (si chiamava così, allora, il genere musicale che comprendeva suonate hip hop e r&b) all'italo disco fino ad arrivare ai primi vagiti di House- da 100 e più dischi passati in meno di 1 ora, da un piatto all'altro, sui giradischi e, non meno importante, mixati (ma a me piace ancora scrivere "miscelati") tutti in battuta, senza i moderni e cangianti effetti, filtri, loop and hot cue e tutte le stregonerie del djing 2.0. Una vera e propria compilation riempipista, tutta artigianale, cucita a mano, pezzo per pezzo, come fosse un taglio sartoriale d'atelier. Non c'erano playlist precompilate e ordinate per battiti per minuto (bpm), nè computer, né softwares dal syncronismo colorato e intuitivo anche senza monitoraggio in cuffia, nè cdj, né chiavette usb col set già pronto come i sughi della Barilla pronto e cuoci. Niente. Nulla di tutto questo. Una sequenza di fuoco armonica e suonata dal vivo. E vent’anni fa, per gli strumenti a disposizione, due o tre giradischi Technics 1.200 e un mixer analogico (marca Outline per i più fortunati) non era cosa facile e nemmeno alla portata di tutti.
L’esperienza, le prove, l'orecchio e il gusto musicale facevano e fanno la differenza in consolle. Dettagli fondamentali e sicuramente utili al riconoscimento di una professionalità indiscussa.
Ecco spiegato perché Maurizio Lessi, oggi, dal giradischi all’ipad,in piedi come un surfista sull’onda della modernità, è ancora un Disk Jokey, scritto in maiuscolo e senza alcuna presunzione, sicuramente tra i più amati dal pubblico italiano, ragusano e di tutta Europa.
Maurizio Lessi, una vita da Top DJ
ha fatto ballare due generazioni di ragusani
di Peppe Scarpata
Sullo stesso argomento:
Archeologia. Nell'Antico Egitto si drogavano pesante
“L’amore che ho”, il film su Rosa Balistreri
Il giovane Camilleri nelle lettere inedite ai genitori
Arte, la mostra "Segni quotidiani" dell'illustratore Angelo Ruta a Modica
Palermo, al via la mostra "Pinakothek'a" con la collezione privata Elenk'Art
Roma Arte in Nuvola, c'è Piero Guccione
I 200 anni del museo egizio corrispondono ai 10 anni di direzione di Christian Greco, il ragusano
Mina, il nuovo album è “Gassa d'amore”. “Se si vede in tv cambia canale”
Quando Enrica Bonaccorti scrisse la Lontanza per Domenico Modugno
Le grotte di Chiafura in un documentario. VIDEO
© Riproduzione riservata