Cultura Lutto

Pino, e correndo se ne va

Citando gli Earth Wind and Fire

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Scicli - Gli accordi erano già in cassaforte, mancava solo il principio, l’attacco; uno sguardo al cielo, alle stelle e a Giove, e arrivò pure quello; l’incipit era servito: a me me’ piace o’ blues e tutt ’e juorne aggia canta'!

Da Giove fino alle pendici del Vesuvio, il ferryboat di Pino Daniele prese il largo nell’interspazio musicale italiano grazie a una trascrizione di Jupiter, una hit degli Earth Wind and Fire del 1976, arrangiata in chiave prepotentemente “neapolitana”.

Fu così che entrammo nel firmamento del Funk, addò' nun bastano 'e parole se ferma arraggia e nasce 'o core.

Nuova identità melodica, stile non proprio originale ma distinguibile, e la rivoluzione musicale fu servita su di un piatto d’argento.

«It’s a music in the air, quantu tiempo po' durà', fin'a che te saglie 'ncuollo e nun te puo' fermà'».

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Il ragazzo che cantava in americano “sulamente pe’ pazzia’, aveva trovato, finalmente, dopo tanta silenziosa gavetta nella Casbah di Napoli il “momento giusto per sfogarsi”, con ritmo e tanto blues e, soprattutto, col favore della critica e del grande pubblico.

Scalare la hit parade e vendere dischi, per un cantante di blues che vestiva male e denunciava la puzza dei vicoli di Napoli con le sue canzonette funkeggianti, non fu un’impresa tanto agevole.

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Tanto per farvi un esempio della competizione musicale in Italia, tra cantautori, nei primi anni ’80: mentre a Napoli Pino cantava “chillo è nu buono guaglione e vo' essere na signora”, a Roma un giovane con la faccia da nerd, diremmo oggi, capelli lunghi e occhiali da vista coi fondi di bottiglia, Claudio Baglioni, parlava d’amore agli italiani insegnando alle ragazzine che per morire, alla fine, “basterà un tramonto in una gioia che fa male di più della malinconia”, facendo saltare il banco al mercato dei dischi più venduti.

La ricetta musicale, comunque, era quella giusta. Il nuovo sound era perfetto, Pulecenella Daniele, intanto, aveva levato la maschera nera da cantore popolare, indossando i panni di quello che, da lì in poi, sarebbe stato, per tutti, il Mascalzone Latino della canzone italiana.

La potente melodia “neapolitana” con arpeggi funk and blues spalmati su più ottave fu, sicuramente, il lievito madre per la genuina scalata al successo del nostro lazzaro felice.

E gli altri ingredienti dell’impasto di musica e magia che hanno reso grande Pino Daniele? Hanno un nome e pure un cognome: Agostino Marangolo e Tullio De Piscopo alla batteria, il maestro Rino Zurzolo al contrabbasso, Senese e Avitabile per fiati e cori, Joe Amoruso e Rita Marcotulli al pianoforte. Sono i componenti della band che ha accompagnato Pino nel corso della sua carriera artistica, quelli che a sentirli suonare dal vivo, sul palco, non sbagliavano un colpo e ci facevano andare in delirio nelle jam session. Storici componenti del gruppo “napoli centrale”, i più.

Se ancora oggi ricordiamo a braccio i loro nomi, senza dover interrogare l’enciclopedia di Google, un motivo, certamente, ci sarà.

In blues, bossa nova, fusion e «on movin’», soprattutto, co’ funk!

Questo il sound di Pino Daniele nei suoi primi dieci anni di attività.
Poi arrivò il pop degli anni novanta, le sonate ricercate per clavicembali e archi del nuovo millennio, il falsetto nasale sempre più deciso, le cantate solo in italiano e noi, gente distratta legata al suo passato musicale, che ci «bastava 'na jurnata ‘e sole pe' pute' canta'», la modernità di Pino non riuscimmo a capirla, anzi, non fummo capaci di mandarla proprio giù.

Ma di amarlo non abbiamo smesso mai. Nemmeno per un attimo. Il feeling era antico, sicuro.

Un po’ come accade al tifoso di calcio con la propria squadra del cuore; storce il naso per una partita persa o una retrocessione in serie B, però, il cuore batte sempre e solo per Lei.

Già, il cuore.

Lunedì mattina ricevo un sms da un mio caro amico: e correndo se ne va…

Ho capito solo dopo un po’, leggendo un lancio di Ansa, il significato di quel messaggio.

Luci spente sul palco, in penombra un uomo con la chitarra seduto su di uno sgabello: l’angolo della Poesia. Vogliamo ricordarlo così.

Keep your eye on Jupiter, such beauty in the sky, we will wait for your return and in the by and by…

E invece no, ridiamoci sopra un po', 'na scarpa si 'na scarpa no come in un film di Charlot.

Statt bbuon guaglio’


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