Scicli - “Ero venuto per la Madonna Vasa Vasa di Modica e invece sono incappato nell'Uomo Vivo di Scicli, scoprendo questo suo portavoce da corsa. Mi sono sentito come Hemingway quando andò nei paesi sperduti dalla Spagna e vedeva la corsa dei tori che avevano un che di sacralità antica. E a Scicli è un po' così, un misto di paganesimo, gallismo ed euforia religiosa per usare le parole di Brancati”
"Amo Scicli perché ha eletto a proprio santo protettore la Gioia"
Vinicio Capossela, Agosto 2013
In Cien anos de soledad leggiamo che Melquiades “era sopravvissuto alla pellagra in Persia, allo scorbuto nella Malesia, (…) al terremoto di Sicilia”. E’ evidente che per Garcia Marquez Sicilia equivale a terremoto.
E fu proprio un immane terremoto, l’11 Gennaio 1693, a distruggere il Val di Noto, ovvero la Sicilia sud-orientale, che tuttavia in meno di un secolo seppe rinascere, convertendo “la distruzione in costruzione, l’orrore in bellezza, l’irrazionale in fantasia creatrice” (Vincenzo Consolo).
Per meno di un secolo quindi alla cattedrale di Noto come a quelle di Ragusa, al S. Pietro di Modica come a Palazzo Beneventano di Scicli lavorarono gli identici architetti, ingegneri, capomastri, scalpellini, intagliatori, marmorari, stuccatori, ebanisti. Elaborarono un linguaggio architettonico comune, raffinato e popolare; reinterpretarono il barocco romano adattandolo ai contesti ambientali iblei; intagliarono tutti le stesse pietre, “di un pallido colore giallo-oro che al sole acquista un’indescrivibile opulenza” (Anthony Blunt); concepirono un’area culturale omogenea e unica che si può confrontare solo con la Boemia, la Baviera e l’Austria per la comune ed esclusiva matrice barocca e con certe città del centro Italia (S. Gimignano, Todi, Assisi, Gubbio) per l’analoga omogeneità stilistica: nel centro Italia omogeneità d’impronta medievale, nel Val di Noto tardobarocca.
Gli architetti e i capomastri inventarono città dall’impianto razionalista (Noto, Catania, Avola, Grammichele, Ragusa superiore) o esaltarono le potenzialità naturali dei siti di Modica, Ragusa Ibla, Caltagirone, Palazzolo Acreide, Siracusa, Scicli.
Scicli infatti “rappresenta un unicum in campo mondiale di quella architettura che nasce a colloquio con la natura” (P. Portoghesi), col paesaggio, col territorio.
Un paesaggio e una natura mediterranei, eccessivi, esplosivi. Barocchi.
Bufalino parlava di “luce e lutto” per definire la Sicilia: ma la Sicilia occidentale e quella orientale hanno modi diversi di “lutteggiare” e festeggiare, con la prevalenza nella Sicilia ionica della luce sul lutto: affinché l’isola non sia solo sepolcro, ma grembo. “Luce SUL lutto”, perché il nostro “lutto” è pieno di “luce”, mediterraneo, greco.
E le tre Feste di Primavera sciclitane sono, appunto, luminose, mediterranee, eccessive, esplosive. Barocche: la dionisiaca Cavalcata di San Giuseppe, l’esuberante Gioia, la spiazzante Madonna a cavallo. Feste vitali. Barocche. (…)
IL CRISTO RISORTO (IL “GIOIA” o “UOMO VIVO)
La notte del Sabato Santo presso la chiesa di Santa Maria la Nova il parroco celebra la messa, e intanto i giovani aspettano con ansia fremente che questa termini, per impossessarsi della statua del Cristo Risorto. Quando la messa finisce i portatori si lanciano sotto il simulacro, facendolo poi girare per la chiesa a folle velocità: è la Resuscita! E una volta una signora inglese vedendoli mi disse: “They are like hooligans!” [gli hooligans sono i tifosi più violenti e ribelli delle squadre di calcio del Regno Unito, N. d. R.].
Dopo circa un’ora la statua del Gioia viene riposta sul piedistallo.
Ma la festa deve ancora iniziare!
La mattina della Domenica, celebrata la messa, l’ostia consacrata (“il Venerabile”) viene portata per le vie della città; quando, intorno alle 13, rientra in chiesa, i giovani scattano sotto la statua del Cristo Risorto, portando ora questo per le vie di Scicli, in corsa senza un itinerario prestabilito e senza orari: una vera avventura, tumultuosa e imprevedibile!
Intorno alle 15 – 15.30 la statua è trasportata nella chiesa del Carmine, da cui uscirà alle 17 per la processione.
Rientrata dopo un paio di ore, alle 22 circa tornano i portatori, che la faranno correre nuovamente per tutta la città fino alle 2 - 3 di notte se non più tardi.
Insomma, una festa libera, inaudita, vitale, gioiosa (che credo piacerebbe a Papa Francesco, e che sicuramente piace al Vescovo di Noto, che canta Mengoni e Noemi; d’altronde, siamo la provincia di Sister Cristina)!
Una festa spontanea, caotica, magmatica, piena di vitalità, furia, furore: carica di energia e speranza, accesa ed eccessiva, in cui lo spettatore – come nelle performances del Living Theatre - sa che quando vorrà potrà diventare attore, trasportando la statua e da essa facendosi trasportare.
Cristo è eccesso ed eccezione: per questo ci mette in crisi, perché ogni uomo può essere Dio.
Scrive Vincenzo Consolo: “nella gioia clamorosa dei fedeli per il Cristo Risorto, nel simulacro di quel nudo corpo splendente che viene lanciato in alto, viene fatto vorticare dentro la chiesa di Scicli, possiamo leggere l’eterna vicenda della rinascita, della gioia, del Gioia, che fuga ogni lutto, ogni pena, ogni buio del frigido inverno dell’uomo”.
Difatti il “Gioia” è una festa che muta continuamente restando fedele a se stessa, sempre diversa e sempre uguale, perpetuamente sorprendente ed affascinante. La caratteristica del Gioia è il movimento, l’imprevedibilità, il divenire, la trasformazione: la vita.
Il fluttuare del Gioia, in verità, corrisponde all’alternarsi di morte e vita, rimanda al “barocco che ondeggia” dei mascheroni scesi nella piazza di Scicli, facendosi uomini e portatori (la festa e i portatori; anzi: la festa è i portatori…).
E “la vita è bella” perché mescola morte e esistenza, lacrime e risate, dolore e gioia…
Scicli è una cittadina forte, risorta più bella dopo il terremoto del 1693 (alla morte di Cristo “il velo del tempio si squarciò” e ci fu un terremoto…): una città in perpetuo divenire, in cui si valorizza il passato col Barocco, l’UNESCO, le tradizioni popolari, e allo stesso tempo si esalta la contemporaneità col Gruppo di Scicli e la fiction “Montalbano”: la vita va avanti, a Scicli: siamo un paese forte, in movimento.
E nel Gioia troviamo la stessa forza, che è anche l’esplosiva energia dei suoi portatori: per-ché la luce vince sul lutto, la vita sulla morte, l’”orior” sul “morior” (G. Dormiente).
E il Bene vince sul Male. (…)
“Luce e lutto”, quindi, ma ribadendo che il nostro “lutto” è pieno di “luce”, mediterraneo, greco.
Cristo è eccesso ed eccezione: per questo ci mette in crisi, perché ogni uomo può essere Dio. Come canta Capossela: “Ha lasciato il calvario e il sudario/ Ha lasciato la croce e la pena/ Si è levato il sonno di dosso e adesso per sempre per sempre è con noi/ Se il Padre eterno l’aveva abbandonato/ Ora i paesani se l’hanno accompagnato/ Che grande festa poterselo abbracciare/ Che grande festa portarselo a mangiare (…) E’ pazzo di gioia, è un uomo vivo…” (…).
La Madonna delle Milizie è sorprendente, così come sono straordinarie le altre due feste di Primavera: la Cavalcata di San Giuseppe e il Cristo Risorto. Feste luminose, vitali, gioiose. Barocche!
E cosa hanno di ufficiale, controriformistico, spagnolesco e rigido le tre feste “religiose” primaverili sciclitane? Ben poco. Eppure, queste feste sono quanto di più vicino alla vera essenza del Cristianesimo, che è la religione della vita e dalla (ri)nascita, perché Dio si fa carne, muore, e rinasce (“se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”, Guccini, che il Vescovo potrebbe inserire nel repertorio…), rompendo così la separazione fra dei e uomini, fra cielo e terra, infrangendo le ferree leggi naturali, ma anche quelle sociali perché “gli ultimi saranno i primi”.
E la morte sarà sconfitta dalla vita.
Dalla risurrezione.
Dalla gioia.
Dal Gioia!