Comiso - Si trova al centro di Comiso, maestoso, quasi come se dall’alto sorvegliasse la città. L’ultimo restauro esterno è stato effettuato cinque anni fa per l’adeguamento anti-sismico ma sarebbero tantissime le cose che necessiterebbero di un intervento professionale: dai meravigliosi soffitti, al recupero di alcuni oggetti d’epoca, fino agli affreschi del battistero. E’ il Castello dei Naselli d’Aragona, detto anche “Palazzo del Conte”, una signorile dimora fortificata che secondo alcuni testi sorgerebbe addirittura sulle rovine di un’antica villa romana e che dal 1400 circa, quando fu acquistato da Periconio Naselli, divenne un’abitazione signorile. E in effetti, fino a qualche anno fa, gli eredi attuali del castello lo hanno abitato. Oggi, invece, è in vendita. Il prezzo? Si parte da 5 milioni di euro, ma soprintendenza e Comune avrebbero diritto di prelazione entro tre mesi, qualora un privato decidesse di acquistarlo. Ma lo scopo principale resta quello di renderlo fruibile al pubblico, riportarlo agli antichi splendori: tutto, pur di non perderlo. 1800 metri quadrati complessivi suddivisi in tre piani, compreso il bar. 30 stanze in tutto, alcune private, altre piuttosto complicate da raggiungere. Lo stile degli interni? Senza dubbio può essere definito “eclettico”: classico, neoclassico, liberty, barocco. Chiunque abbia abitato il castello, passato di mano in mano attraverso i secoli, ha voluto lasciare a futura memoria testimonianza del proprio passaggio. La parte più antica è visibile dall’esterno: si tratta di quella che, secondo alcuni storici, potrebbe essere una “Cuba araba”, poi adibita a battistero dedicato a San Gregorio Magno. Sono ancora visibili, purtroppo logorati dal tempo e dall’incuria, tracce di affreschi di epoca bizantina. Di forma ottagonale, il battistero è coronato da un’elegante cupola. Un tempo, il castello era accessibile da un ponte levatoio essendo stata dimora fortificata che veniva utilizzata in epoca medievale per difendere il territorio dai Chiaramonte e dai Cabrera. Dopo il terremoto del 1693, gran parte del castello crollò, ad eccezione della torre. Intorno agli inizi del ‘700 venne trasformato in palazzo signorile, tanto che vi dimorò per qualche tempo il Viceré Cristoforo Fernandez de Cordova. L’attuale loggetta venne aggiunta proprio in occasione di quella visita e fu realizzata dall’architetto Michelangelo Canepa. Ai tempi dei Borboni, il castello rimase abbandonato fino a quando una parte venne trasformata in teatro (l’attuale Teatro Naselli) e una parte in carcere mandamentale. Ancora visibili, infatti, sono le carceri borboniche, utilizzate fino agli anni ’30 circa. Costituite da tre celle, più una utilizzata dal carceriere, conservano ancora alcune brandine, oggetti e utensili d’epoca. Davvero splendidi, invece, gli interni: alcuni soffitti necessitano di un buon restauro ma mobili e suppellettili sono invece in ottimo stato. All’interno del castello, oltre alle maestose camere da letto, presenti anche una sala della musica, una sala da gioco con carte da mercante in fiera originali del 1891, una sedia per fumatori, una sala da disimpegno, uno studio con cappella votiva e una biblioteca contenente alcuni testi piuttosto rari, come l’epistola di Cicerone del 1500 in pregiata edizione veneziana.
Parlano gli eredi
Giuseppe Nifosì, 55 anni, è l’ultimo erede del Castello Aragonese di Comiso in cui ha abitato fino a qualche anno fa insieme alla moglie, Giovanna Chiarandà e la figlia: “Quando i Naselli si trasferirono, per un certo periodo di tempo il Castello rimase disabitato, poi fu trasformato in carcere borbonico e, infine, è passato di mano in mano fino ad arrivare alla mia famiglia, negli anni ‘60”, spiega. Nonostante il castello conservi ancora intatto tutto il suo fascino, necessiterebbe almeno di un restauro completo e perché no? Anche di qualcuno che si occupi di studiarlo a fondo. Sono relativamente poche, infatti, le notizie storiche certe riguardanti il castello e alcuni oggetti: dipinti e affreschi, rimangono ancora di incerta datazione. Alcuni ritratti, ammirabili alle pareti, restano praticamente sconosciuti: non si conoscono, infatti, né i pittori, né chi siano i soggetti dipinti. Giuseppe Nifosì, spiega: “Il castello ha 30 stanze ma alcune sono complicate da raggiungere anche per questioni di sicurezza. Cinque anni fa è stato effettuato l’adeguamento anti-‐sismico ma molte cose andrebbero restaurate”. Sulla vendita, gli eredi spiegano: “La nostra idea è quello di renderlo fruibile al pubblico e di riportarlo in ottimo stato. Vorremmo che ciò potesse avvenire grazie ad interventi pubblici per questo è in vendita. Siamo disposti a tutto pur di non perderlo. Qualche anno fa eravamo in trattativa con una compagnia svedese ma, purtroppo, all’epoca non era stato ancora aperto l’aeroporto di Comiso e c’erano parecchie difficoltà con i collegamenti, per questo l’affare sfumò”. Il castello, precisano Giuseppe Nifosì e la moglie Giovanna, è rimasto aperto al pubblico in alcune occasioni: “Abbiamo aperto le porte al pubblico durante le giornate del FAI, a marzo 2015, e in occasione della Pasqua. In quelle occasioni, abbiamo avuto davvero ottime presenze. La maggior parte della gente che è arrivata, infatti, non l’aveva mai visitato e sono rimasti tutti positivamente colpiti proprio perché il castello ha ancora il mobilio originale, testi rari e qualche pezzo addirittura del ‘700”. Gli eredi spiegano che il castello è una continua sorpresa anche per loro: “Abbiamo ritrovato alcuni abiti d’epoca che abbiamo messo in esposizione ma purtroppo non sappiamo quasi nulla sulla loro datazione, su chi li ha indossati o durante quali eventi venissero sfoggiati. Stiamo procedendo a fare una sorta d’inventario con alcuni esperti”, spiega Nifosì e aggiunge: “Sarebbe interessante che studiosi di storia dell’arte approfondissero l’argomento. Allo stato attuale, il maggior studioso è il professor Distefano curatore di un volume presentato nel 2012”. Per non parlare, poi, dei “quasi” perduti affreschi della Cuba: “Sono stati scoperti per caso nel ’32 e rappresentano un ciclo bizantino, raffigurante San Gregorio Magno e un altro medievale di cui però non si sa nulla”.
La Sicilia