Attualità Pamplona, Spagna

Terremoto a Ragusa. Esperto spagnolo: Figlio di un pianeta che sta male

Terremoti, vulcani e clima. Un pianeta interdipendente

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Pamplona, Spagna - Il giorno 8 febbraio 2016 alle ore 16,35 si è verificato un terremoto di magnitudo 4,7 a 17 km a NE di Ragusa, un terremoto che rientra negli standard abituali della zona.
La regione mediterranea è sotto il profilo sismico attiva, ciò è dovuto alla confluenza verso il Nord (tra 4 e 10 mm/anno) della placca africana che spinge l’altra dell’Eurasia.
Tale movimento ebbe inizio approssimativamente 50 milioni d’anni fa quando si chiuse il mar di Teti.
Il sottosuolo su cui poggiano i nostri piedi può sembrare sicuro e solido, però i terremoti, i vulcani e altri fenomeni naturali pericolosi insistono nel ricordarci che non è sempre così.
La Terra è un pianeta dinamico, con placche tettoniche in movimento, sensibile ai cambi accelerati del clima. Sappiamo che alla fine dell’ultima glaciazione, con la fusione delle grandi cappe di acqua gelata, la pressione liberata permise un recupero della crosta terrestre. In contemporanea ingenti quantità di acqua di fusione confluirono nei grandi bacini degli oceani, la deformazione e la flessione della crosta terrestre, allora, produssero molti movimenti che provocarono una gran ripresa dell’attività vulcanica, scosse sismiche, e smottamenti tanto nella terra ferma quanto in fondo al mare. In verità, per la metà o alla fine di questo secolo è previsto un aumento delle temperature, dovuto al comportamento umano, aumento simile a quello verificatosi verso la fine dell’ultima Glaciazione.
Nel 1783 l’eruzione del vulcano Laki (Islanda) influenzò per tre anni il clima del pianeta, in Europa morirono due milioni di persone. I raccolti furono molto scarsi, la fame, le malattie, la speculazione sui beni di prima necessità, tutto sfociò nella rivoluzione francese. Il cambio nel mondo sociale, economico e culturale ebbe un’origine geologica. Era l’inizio delle democrazie moderne. I tentativi di Napoleone nel 1812 e di Hitler nel 1941 mirati alla conquista di Mosca fallirono miseramente a causa del freddo estremo. Non fu un esercito a sconfiggerli ma un fenomeno planetario: il Niño.
Se certe condizioni piacevoli per il nostro stile moderno di vita subiscono alterazioni, la vita umana si considera minacciata.
Questa non è una reazione vendicativa del pianeta bensì il frutto di una politica squilibrata che non rispetta il mezzo che più d’ogni altro garantisce la nostra esistenza.
Durante l’Olocene, la più recente epoca geologica che iniziò circa 12.000 anni fa, si verificarono catastrofi naturali estreme mai viste negli ultimi secoli. Raramente produssero disastri. Le società erano molto meno complesse. La nostra società moderna, globalmente interconnessa, si metterebbe davvero in discussione, se si vedesse esposta a tali pericoli. Alcuni degli eventi che si sono verificati appena qualche secolo fa potrebbero causare danni, se accadessero ora, senza precedenti su scala mondiale; la crisi attuale di sostenibilità non potrebbe che peggiorare.

Il Niño Godzilla di 2015-2016

Quali altri danni potrebbe ancora procurare questo Niño Godzilla?
Molti scienziati condividono con me quest’analisi storica: avvenimenti importanti della civiltà stabilmente costruita su questa “casa comune” ebbero un’origine geologica e climatica. Da qualche tempo non si produceva una migrazione di concetti dalla sfera religiosa alla scientifica, le due prospettive si sono guardate con diffidenza per secoli, però ora il concetto di “casa comune” si estende ad ambiti scientifici grazie alla penetrante visione olistica di Papa Francesco e della sua enciclica “Laudato sii”.
Tutti siamo d’accordo: grandi cambi naturali comportano inevitabilmente grandi cambi sociali.
Il Niño è in stretta relazione con un incremento della temperatura media globale. Il 2014 fu l’anno più caldo mai registrato nella storia, il 2015 lo superò e buona parte del 2016 resterà sotto l’influenza di questo Niño mostruoso. Met Office stima in 0,2 gradi il suo contributo.
In effetti, un nuovo studio pubblicato da Science nel gennaio del 2016 dimostra che la fusione della Groenlandia e l’innalzamento del livello del mare saranno di gran lunga peggiori di quanto previsto. Fino a poco tempo fa credevamo che la maggior parte dello spazio firn della Groenlandia, o la cappa porosa superiore del ghiaccio, dove si assorbe l’acqua del disgelo, fosse ancora disponibile, com’era successo per milioni d’anni. Invece una nuova ricerca ci sorprende svelandoci che già tutto questo non potrà avvenire più. Rilevazioni sopra il terreno indicano che la recente formazione di strati di ghiaccio denso in superficie impedisce all’acqua di penetrare attraverso il firn per accumularsi e ricongelarsi, costretta com’è a erodere anziché infiltrarsi. Il risultato più apprezzabile mostra che il firn reagisce al surriscaldamento dell’atmosfera più velocemente di quanto pensassimo. Si può tranquillamente anticipare, dunque, che la fusione dei ghiacciai della Groenlandia avviene a velocità superiore al previsto.

Un pianeta interdipendente

In un pianeta così interdipendente non solo i modelli climatici risultano scombinati dal cambio delle correnti d’acqua, d’aria o di calore, ma anche le cappe profonde. Il medio ambiente può influire sull’attività di vulcani e faglie. Nei vulcani circondati da ghiaccio come in Islanda, lo scioglimento veloce alla fine dell’ultima glaciazione provocò l’espulsione di magma che prima era stata contenuta dal peso del ghiaccio. Alla fine dell’ultima glaciazione l’Islanda “esplose” per 1500 anni, la sua attività vulcanica passò a essere da 30 a 50 volte superiore. Un chilometro di cappa di ghiaccio lo aveva impedito. La rivoluzione francese fu un effetto, come abbiamo visto.
Le eruzioni del vulcano Pavlof in Alaska sembra che siano strettamente correlate al clima, anche quelle del monte Santa Helena, del Vesuvio o quelle dell’Etna. Sistemi di tempeste di bassa pressione che si formano in inverno provocano un innalzamento del livello del mare di vari decimetri, un peso addizionale di acqua sufficiente capace di esercitare una pressione che faccia eruttare il magma. Analizzando gli ultimi 100.000 anni, il livello del mare ha svolto un ruolo essenziale nel vulcanismo e nei terremoti climatici.
Se quest’effetto lo limitiamo ai margini continentali e archi insulari dove si trova il 95% dei vulcani attivi di tutto il pianeta, i risultati prevedono effetti preoccupanti già dentro di un paio di decadi, quando il livello del mare aumenterà molto di più. L’incremento parallelo al riscaldamento dei terremoti climatici è un fatto che si sta approfondendo.
Viviamo in un’epoca in cui milioni di persone si mettono in fila per un pasto nei centri solidali di tutto il mondo, emigrano, abbandonando terre già sterili, combattono guerre per accaparrare beni di prima necessità; in questi momenti l’energia, l’acqua, la casa o l’alimentazione sono beni sottoposti a una crescente pressione, investiti da ogni tipo di speculazione finanziaria che lo stesso Francesco non ha potuto non denunciare. E tutto questo si produce esattamente in un momento in cui gli effetti debilitanti del cambio climatico antropogenico s’insinuano sempre più minacciosi in tutti gli angoli del nostro mondo e della nostra vita. L’ultima cosa di cui avevamo bisogno era proprio svegliare Poseydon!

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Prof. Antonio Aretxabala, geologo
Scuola di Architettura, Università di Navarra

Traduzione di Un Uomo libero.
© Tutti i diritti riservati all’Autore

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