Cultura Silvana Grasso su La Sicilia

Il Cyrano di Guccini

"Perché con questa lingua vi uccido quando voglio"

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In omaggio al mese dei Libri e a quanti credono, ancora e nonostante tutto, alla Cultura come demiurgo di metamorfosi, questa settimana ci teniamo alla larga da quell’ incessante, maleodorante, emorragia di disonestà che, dall’antimafia alla politica agli enti locali, ovunque lascia la lebbra della sua contaminazione
Ci consegniamo, esclusivamente, alla Letteratura, alla sua Virtù, cominciando da una domanda, cui non daremo risposta immediata: cosa unisce Edmond Eugène Rostand (1868/1918), drammaturgo e poeta francese, a Francesco Guccini (1940), cantautore, intellettuale, poeta a tutto tondo, quindi senza virgolettato? La puntualizzazione si rende necessaria, considerata la diffidenza, la resistenza, la sufficienza, la spocchia, con cui ancora certa critica letteraria valuta i versi di chi non pubblica in silloge, con l’imprimatur d’Apollo o delle Muse.
L’imprimatur di Guccini è la qualità del suo “verso”, non metrico, stricto sensu, cioè rigidamente, ma metrico d’armonia sonorità e inversa sonorità, imperviamente, magistralmente raggiunte, da pioniere, da esploratore, da scalatore, picconando il tessuto sociale ed emotivo, come un minatore la roccia in miniera. Per questa, e infine altre ragioni, stimiamo Guccini poeta a tutto tondo.
Un’altra domanda del puzzle di oggi è: ha fondamento l’accusa di francofobia rivolta a Pier Paolo Pasolini? «Ciò che fa torto alla Francia, alla sua universale cultura, è che Lei mette tutti i francesi nello stesso sacco, infatti nel Pantheon del suo sovrano disprezzo Lei colloca alcuni rappresentanti illustri di correnti politiche contrastanti, da Sartre a Mauriac, da Camus a Claudel» (Le belle bandiere, Pasolini).
A questa “accusa”, che gli arriva da Terville (Moselle, in Francia) risponde Pasolini: «Io non ce l’ho affatto con la Francia, che considero il centro della mia cultura. Ce l’ho contro un certo tipo di intellettuale laico parigino, in quanto rappresentante supremo di una certa borghesia del mondo occidentale. In Francia, come in tutte le nazioni opulente del Nord Europa, non c’è soluzione di continuità da Rimbaud a Flaubert in poi: non si è mai avuta una rivoluzione critica, la concatenazione dei modi letterari non è stata mai interrotta. La gerarchia dei valori è sempre stata la stessa, non si è mai avuta una vera e propria letteratura dell’impegno. Nessun giovane francese si decide a buttar fuori dal Pantheon pieno i vecchi dei per metterci quelli nuovi: non saprebbe quale criterio seguire, se non quello delle scuole letterarie» (ibidem).
Questa “apologia” pasoliniana è del 1965, ma attualissima, ancora oggi, a spiegare il rifiuto di certa ufficialità critica, che si autocorona d’alloro, nei confronti del testo in “canzone”, non confezionato in poesia.
Rifiuto dettato, anche, dall’incapacità di riconoscere un epillio, di nobilissima matrice ellenistica, quando di epillio si tratta, non sempre, per cantautori dello spessore di Guccini.
Guccini, mutuando Pasolini, ha buttato fuori dal Pantheon i vecchi dei per metterci dentro i nuovi.
Sciogliendo l’enigma di prima, è Cyrano de Bergerac il comune divisore di Rostand e Guccini. Entrambi, folgorati da Savinien Cyrano de Bergerac, scrittore del Seicento francese, ne hanno scritto, in una commedia Rostand, in un quasi epillio Guccini. Ma con intenzioni, finalità, e introspezione, assai diverse, secondo la dittatura del carattere e dell’emotività di ognuno.
Naso, spada, cuore sono “gli organi” del Cyrano di Rostand, assai più fatali di quelli che la Natura consegna all’uomo nascendo.
La spada è per Cyrano la “penna” con cui scrivere le poesie della vita, le “poetiche” effemeridi della sua vita, anatemi potentissimi, alla maniera della lirica giambica arcaica, contro potenti, prepotenti e presumenti.
Ma di fronte all’amore per Rossana si frange la spada, per quella “conquista” solo la penna ha Potere, solo le rime d’un cuore che ama, potenti assai più di 1.000 spade.
Il menestrello innamorato Cyrano raggiunge il cuore dell’amata, fingendosi Cristiano, che invece ne ha rapito totalmente i sensi.

 Le infinite “debolezze” del testo francese vengono risarcite dalla metafora di Cyrano, validissima nell’Ottocento, assai indebolita, oggi. Solo l’Amore è per sempre, al di là del bene e del male, al di là del rifiuto e della condivisione. Amor d’amare, dunque, libido amandi.
Altra cosa è il “Cirano” di Guccini, un Cirano/Francesco che ben interpreta le lotte, le apostasie, politiche e sociali, dell’uomo Guccini: «Venite pure avanti, voi con il naso corto / signori imbellettati, io più non vi sopporto / infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio / perché con questa spada vi uccido quando voglio».
Penna e spada sono speculari, ma è di penna che uccide Guccini, è di Parola che ne disarma Guccini.
Con queste ”armature” il “povero cadetto di Guascogna” combatte la sua solitaria lotta: «Venite pure avanti buffoni che campate di versi senza forza / avrete soldi e gloria ma non avete scorza / godetevi il successo, godete finché dura / che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura / e andate chissà dove per non pagar le tasse / col ghigno e l’ignoranza dei primi della classe».
Cirano/Guccini ha caratura di carattere, di temperamento. In questa solitaria guerra, contro la fanfara di certa casta sociale, Rossana è l’unica via di fuga, l’unico efficace antidoto, non certo l’unico esemplare femmina della sua vita: «Ricordo con dolore / che a me è quasi proibito il sogno d’un amore / non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute / per colpa o per destino le donne le ho perdute / e quando sento il peso d’essere sempre solo / mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo».
La diversità, che spinge il Cirano di Guccini a parlare in versi alla sua Rossana, è ben diversa dalla paura della diversità, la sua diversità, che spinge Cyrano di Rostand a fingersi il bel Cristiano, pur di scrivere e, scrivendo, conquistare Rossana. E vi riesce, infatti: la potenza della sua Parola seduce fatalmente la donna.
Il Cyrano di Rostand ha una generosità, un altruismo, perfettamente in tono con il “cavaliere” Cyrano, doti assolutamente archiviate, invece, dal Cirano di Guccini. Un uomo moderno, quello gucciniano, che combatte invano, sulle barricate sociali, la sua solitaria battaglia. In lui non v’è traccia della generosità del Cyrano archetipo che, al morente amico Cristiano, conferma, mentendo per pietas, d’essere lui, e solo lui, la scelta amorosa di Rossana.
Ma gli archetipi vanno proprio confinati, dagli archetipi letterari e artistici si prendono le distanze, se si vuole evitare di realizzare solo delle brutte copie. E questo Guccini lo fa assai bene.
Rossana è il rifugio dopo i ceffoni presi dalla vita, non lo scudo nel momento dell’aggressione: «In questa vita oggi non trovo più la strada / Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo / tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo: / dev’esserci lo sento in terra o in cielo un posto / dove non soffriremo e tutto sarà giusto. / Non ridere, ti prego, di queste mie parole / io sono solo un’ombra e tu, Rossana, il sole, / ma tu, lo so non ridi, dolcissima signora».
In realtà non c’è nessuna Rossana, nessuna donna con un corpo, una bocca, due braccia, due gambe, un seno. L’alternativa al fallimento della lotta sociale è l’Arte, la Musica, la Poesia, il Disegno. Solo l’Arte può offrire a Cirano/Guccini quell’eterno lucus amoris, locus adfectus, ove anche le ferie fatali possono non uccidere.
La donna, in carne e ossa, non serve al Poeta/Cirano, a lui serve quella «dolcissima signora», che lo ristora dalle sconfitte dell’esistere, come fossero vittorie. Una donna così non rinfaccia, non avvilisce, non mortifica, non recrimina, non ricatta, non sequestra, non compie azioni di strozzinaggio sentimentale. Il suo vero nome è Arte!


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