Ragusa - Un grande cubo lungo una delle strade più trafficate di Ragusa, non si può non notarlo. Entrando si resta un po’ spiazzati da quello che ci si trova davanti: decine e decine di scaffali ricolmi di prodotti tutti diversi. A destra il mondo dei colori, di fronte ferramenta, ovunque un via vai di gente. Ci si perde un po’ tra così tanta scelta, si prosegue e in fondo al negozio si trova il bancone: dietro, il sorriso rassicurante del signor Turi Leggio che dal 1954 vende, ai Ragusani e non solo, chiodi, viti, bulloni e tanto altro. Il negozio, fondato nel 1971 e trasferitosi in questo cubone di 3000 mq nel 2004, prende il nome dal suo fondatore. D’altronde, nell’immaginario comune ragusano, se dici “Leggio” dici implicitamente anche “ferramenta”.
Come e quando ha iniziato questo lavoro?
Era il 1954, avevo undici anni e all’epoca tutti i ragazzini andavamo a scuola la mattina e il pomeriggio lavoravamo come garzoni. Io lo facevo da Metalcolori di Giuseppe La Rosa in Corso Italia: mi occupavo un po’ di tutto, mi è sempre piaciuto il mondo della ferramenta e avere a che fare coi clienti. Questi erano tutti uomini e professionisti, erano le maestranze quindi soprattutto fabbri, falegnami, imbianchini. Nel 1965 mi sono sposato e nel 1971 ho aperto un negozio con mia moglie Franca. Un mio amico, lo conoscevano tutti come “Giuanninu u Vangelicu” (perché era evangelista), ne aveva uno di scarpe in via Mariannina Schininà: quando decise di trasferirsi mi incoraggiò a comprare il negozio. Era in una buona zona e avevo già un’esperienza lunga 17 anni, così aprimmo lì.
Cosa ricorda in particolare dell’apertura del negozio?
Quando decidemmo di comprarlo ci fu un problema: il proprietario dell’immobile aveva bisogno di liquidità perché doveva partire ma alle Poste bisognava aspettare qualche giorno per prelevare quella somma, e quindi rischiammo di non poter concludere l’accordo. Lì intervenne il Cav. Giovanni Cartia, si ricordava perché andavo spesso a fare i versamenti in banca, dove tutti mi conoscevano come “Turidu, u picciuttu ri La Rosa”. Mi diede fiducia e mi fece il prestito necessario per comprare e aprire il negozio. Via Mariannina Schininà era una strada importante e molto frequentata perché collegava le due città, il Corso Italia con Cozzo Corrado dall’altra parte. La zona che andava dall’Ecce Homo ai Salesiani era chiamato “il quartiere della Russia” perché ci abitavano contadini e soprattutto tantissimi operai –erano gli anni in cui l’ABCD dava lavoro a mezza Ragusa nelle miniere- e molti, si diceva, erano comunisti. Erano tutti nostri clienti: mi avevano conosciuto da La Rosa, mi trovavano sempre lì e avevano sempre avuto a che fare con me. In più avevano più o meno la mia stessa età quindi molti mi seguirono nel nuovo negozio. Negli anni ’70 molti che avevano lavorato fino ad allora come dipendenti si misero in proprio come me e nacquero tante nuove botteghe quindi crebbe anche il numero dei clienti.
Da impresa familiare a grande azienda: cosa è cambiato in questi 46 anni?
Anche mia moglie lavorava già prima che ci sposassimo, all’inizio come magliaia, poi in uno stucchificio: dal 1971 è in negozio, sia al banco che in magazzino, oggi è alla cassa. Prima non c’erano così tante specializzazioni come oggi e non avevamo dipendenti, eravamo solo noi due e i nostri figli. Loro d’altronde sono cresciuti qui, Marco aveva la culla in negozio mentre Gianni giocava piccolissimo tra gli scatoloni: anche loro passavano la mattina a scuola e il pomeriggio in negozio, all’inizio davano una mano a sistemare la merce, poi crescendo hanno cominciato a relazionarsi coi clienti e oggi gestiscono due settori diversi, Gianni i colori e Marco la ferramenta con me.
Quando avvenne la svolta?
Nel 1995 abbiamo comprato le casette intorno al negozio in via M. Schininà e lo abbiamo ampliato, introducendo anche un modo diverso di vendere, con i prodotti a vista. Poi nel 2004 abbiamo lasciato il centro, era sempre più difficile far fermare i camion per scaricare la merce e d’altro canto eravamo a un punto di svolta, volevamo ingrandirci e lì non c’era più spazio. Negli ultimi vent’anni è anche cambiato il settore, oggi è tutto molto tecnico, serve personale specializzato e ognuno dei nostri otto dipendenti si occupa di un settore, aggiornandosi di continuo sia coi rappresentanti sia partecipando alle fiere. Un grande cambiamento ha invece riguardato le donne: prima erano pochissime a entrare e compravano più che altro casalinghi, paraspigoli di legno per i bambini, fil di ferro per stendere il bucato. Oggi rappresentano circa il 30% della nostra clientela e ne sanno tanto quanto gli uomini, sia per la manutenzione in casa sia per lavoro. Prima studiavano fino alla quinta elementare e poi andavano a fare le parrucchiere o le sarte, oggi invece vanno all’università e molte sono architetti o ingegneri quindi conoscono bene il settore.
Cosa rappresenta per lei questo negozio?
Sia io che mia moglie, pur essendo in pensione dal 1994 siamo ancora entrambi qui, ci piace lavorare, questo negozio è la nostra creatura, la nostra “figlia femmina”. Ormai è una sorta di passatempo, anche le giornate più pesanti mi hanno sempre lasciato il sorriso e d’altro canto questo invoglia la gente a comprare. Ci siamo espansi molto ma qualcosa non è mai cambiato: l’onestà dei prezzi e dare a tutti la possibilità di lavorare. Non ho mai dimenticato la fiducia che mi diede il Cav. Cartia quindi ho sempre cercato di fare altrettanto. Quando qualche artigiano veniva perché gli serviva qualcosa per lavorare, anche se non poteva pagarmela lì per lì, gli facevo credito: scrivevo un “pizzino” e lo mettevo in una cassettina assieme agli altri. Quando poi il fabbro, l’imbianchino, il falegname veniva pagato, a fine lavoro, veniva a saldare. Ho sempre dato fiducia a tutti e l’ho sempre ricevuta da tutti.
La Sicilia