“Un Giorno in Pretura” compie trent’anni e festeggia alla grande con due puntate di processi in prima serata per due domeniche di fila. Perché la vita, a volte, è più sorprendente di un film e per questo le due puntate sono dedicate a due fatti che hanno ispirato due film in uscita: il processo Tarantini, che ha ispirato il film di Sorrentino “Loro” e quello al canaro della Magliana, che ha ispirato il regista Matteo Garrone con “Dogman”.
Il celebre programma di Rai 3 condotto da Roberta Petrelluzzi, è il più longevo della Rai e solo per questo meriterebbe rispetto. Per gli appassionati, un Giorno in pretura è un appuntamento immancabile ma purtroppo viene trasmesso nottetempo il sabato sera su Rai 3 (di solito intorno alle 00.30). Il fatto di ritrovarselo in prima serata è davvero qualcosa di unico, anche se oggi, grazie alla rete, è possibile rivedere le puntate anche in streaming. Un giorno in pretura era nato per documentare l’andamento della giustizia e ha finito per essere un lunghissimo piano-sequenza che ha ritratto una società in continua trasformazione. Nella prima puntata del gennaio 1988, quando ancora esistevano le preture, fu trasmesso un processo per una rissa tra ubriachi che oggi non provoca più allarme sociale.
Nell’ultima (andata in onda ad aprile) il processo a una suora di Busto Arsizio per stalking e violenza sessuale nei confronti di una ragazza dell’oratorio.
La redazione legge tutti i verbali, studia le parti più utili al racconto, individua i passaggi centrali per dare gli strumenti a chi guarda di farsi un’idea. Certo, un minimo di scelta editoria e di montaggio c’è, come inserimenti musicali e piccole spiegazioni fuori campo, magari per raccontare l’antefatto, ma il nocciolo dell processo in sé non viene toccato e il racconto è quanto di più veritiero ci si possa aspettare. Un giorno in pretura ha raccontato i processi di storici casi di cronaca italiana, come il caso Corona, il caso Sarah Scazzi, il caso Marta Russo, la strage di Erba, in caso Vanna Marchi, solo per citare i più celebri. Ha raccontato, però, anche casi meno celebri che, però, sono rappresentativi di un mondo, uno spaccato della società italiana che, per quanto ci sembri apparentemente statica in realtà è cambiata moltissimo in questi ultimi trent’anni.
Il processo a Giampaolo “Giampy” Tarantini, oltre ad aver ispirato il film di Sorrentino, rappresenta un pezzo d’Italia in un certo periodo storico, ovvero i primi anni 2000: e aver visto la puntata ieri sera in cui questo imprenditore barese decide di tentare la fortuna portando ragazze a Berlusconi, è un bel ritratto del personaggio e di una società decadente in clima fine impero. Sentire i “non ricordo” delle ragazze più reticenti, la testimonianza chiave di Patrizia D’Addario e le ammissioni (a volte parziali, a volte meno) dei testimoni, ha raccontato come i “vizi” privati di un uomo (che, ricordiamo, non era un uomo qualsiasi, ma il premier italiano in carica), abbiano spinto uomini e donne a tentare una patetica scalata sociale. Ci racconta di come era facile entrare nelle grazie di un presidente solo perché si era giovani e belle.
Ci racconta di un sistema che non fa sicuramente onore ad un grande Paese come l’Italia e che nonostante tutto ciò sia accaduto con tanto di prove documentali e processi (Tarantini è stato condannato in primo grado, si è in attesa dell’appello ma per ora è a piede libero), sembra che tutto ciò non importi a nessuno. Perché è anche questo uno spaccato di società: succede tutto e il contrario di tutto e non si ha più la forza nemmeno di indignarsi. Lunga vita a Un giorno in pretura.