Cultura Scicli

Antonino Lo Monachello, artista e contemplativo

Una commissione molto particolare da parte dei Confrati della Confraternita di S. Maria La Nova di Scicli: eseguire un “Santo Sepolcro” in legno



Scicli - Il Ven. Antonino Lo Monachello il primo maggio 1564 ricevette una commissione molto particolare da parte dei Confrati della Confraternita di S. Maria La Nova di Scicli: eseguire un “Santo Sepolcro” in legno da custodire e venerare in una grande cappella della chiesa.
L’atto, rogato dal notaio Nicolò Damiata di Scicli, fu stipulato tra l’artista e Antonio Giluso, figlio del defunto magnifico Nicola, procuratore della Confraternita, insieme con alcuni rettori.
Dà notizia di questo importante ritrovamento padre Ignazio La China a pagina 138 del suo ottimo testo “Appunti per una storia della pietà popolare a Scicli”.
Nell’atto, citato da La China, i confrati suggerivano all’artista alcune linee guida o se vogliamo esprimevano preferenze su come eseguire i loro desiderata: gli angeli e le varie figure dovevano essere simili a quelli già realizzati per la chiesa di San Giovanni a Modica mentre nella raffigurazione dei custodi optavano per il modello eseguito in un “sepolcro” di Ragusa. In tutto quattordici statue ad altezza d’uomo.
Nel contratto si fissava il compenso in novanta onze, scaglionate in rate di circa venti onze da corrispondere nel tempo.
All’artista i confrati offrivano anche vitto e alloggio per il tempo del suo lavoro.
Questo in estrema sintesi il contratto d’opera.
Il 9 maggio 1569, presenti i magnifici Orlandino e Antonino Giluso, padre e figlio in qualità di testi, al cospetto del notaio Guglielmo Marsala, il procuratore della Confraternita, il magnifico Marc’Antonio Giluso, giudice della Contea di Modica e anche per diversi anni Giudice Giurato della città di Scicli, consegnava al magnifico Guglielmo, figlio del defunto Calcerano Xifo, e a Teodoro Lanza onze quattro perché questi le consegnassero, nel giorno della festività della Natività di san Giovanni Battista, al Venerabile don Antonino Lo Monachello, pittore della città di Noto, residente a Scicli, aggiudicatario dell’opera del “Santo Sepolcro”
“pittor civis civitatis Noti hic Siclo adhuc degens nobis cognitus et personaliter adhibitus”.
La somma era data allo scultore/pittore in conto della rata di venti onze stabilite per contratto per “manifattura santi sepulkri” cioè per l’esecuzione del sepolcro già descritto nel documento precedente, sepolcro meglio definito come “Compianto sul Cristo morto” secondo una felice intuizione di padre La China.
Tra il primo atto e il secondo erano intanto trascorsi circa cinque anni.
Le quattro onze costituivano sicuramente un acconto dell’ultima tranche che sarebbe stata pagata al maestro prima della reale consegna dell’opera.
Nella scrittura si fa tuttavia riferimento al placet della Confraternita che libererebbe l’obbligato da qualsiasi rifacimento o indennizzo. L’opera doveva essere comunque in fase di ultimazione.
Chi fu Antonino Lo Monachello?
Di lui non si sa nulla fino a oggi e sarebbe lodevole che qualcuno ne approfondisse l’opera e la figura. Unica notizia certa: era di Noto. In entrambi gli atti, infatti, dai due diversi notai è identificato come “pittor civis civitatis Noti”.
Esaminando i due importantissimi rogiti, per il valore della committenza, emerge che non è un artigiano qualsiasi ma un vero grande maestro rinascimentale. E’ anche un uomo di chiesa, un “venerabile domino”, cioè non un chierico ma un sacerdote di specialissime e riconosciute virtù che magicamente traspaiono dai suoi due ultimi capolavori per miracolo a noi pervenuti: l’Addolorata e il Cristo morto.
Entrambe queste due splendide sculture che si venerano nella Chiesa di Santa Maria La Nova di Scicli trasmettono al fedele, infatti, un “pathos” e una “pietas” irresistibili che raramente si possono cogliere in altre coeve conosciute.
Gli occhi socchiusi della Vergine madre riflettono quelli del figlio per un abbandono al dolore senza fine nel primo caso e nel secondo alla morte.
Chi modellò e dipinse questi due capolavori d’arte sacra doveva per forza essere un contemplativo, il cui talento si traduceva in preghiera come in un pittore d’icone.
Forse questo segreto, per secoli gelosamente custodito dalla sua arte ispirata, rivelato ora dalle carte d’archivio, sarà stato il vero detonante di un culto, vecchio già di mezzo millennio, che parla al cuore della gente col linguaggio del contemplativo e la forza orante della sua fede?

CREDITI
Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica
La China Ignazio, Appunti per una storia della pietà popolare a Scicli, Primo quaderno, Le feste del Signore, Editrice Sion, 2008
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