Scicli - Vi è una cifra che permette a persone che vivono ai margini della società di attingere a vette alte di identità. Ed è quando queste, che nell'immaginario comune diventano personaggi, riescono a identificare la loro pulsione vitale con il momento religioso, dell'accostamento a Dio. Così donna Stella Savà, nella sua dimensione naif, naturale, senza filtro, ha incarnato la Gioia della Pasqua di Scicli. Dandosi appuntamento, sul sagrato della chiesa della Consolazione, ogni anno, ogni Pasqua, col Cristo Risorto, cui Stella ha sempre dato del Tu.
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Perchè la sua morte ieri la commosso gli sciclitani? Perchè nel suo rapporto senza barriere con Dio, Stella ha saputo tradurre il desiderio -di tutti noi- di essere come lei. Puri. Fanciulleschi, irriverenti, impertinenti. Così donna Stella è presente nella visita di Giancarlo Pajetta nel gennaio del 1959, quando il Pci iniziò a occuparsi degli aggrottati di Scicli, ed è ritratta in una foto di Egidio Vaccaro concessaci dal Giornale di Scicli, e lo sarà forse quando Pierpaolo Pasolini, Carlo Levi e Renato Guttuso vennero a visitare Chiafura qualche mese dopo. (Nella foto in basso, una 21enne Stella a destra, a fianco alla mamma con gli occhiali spessi).
A chi in questi anni mi ha chiesto quale fosse la cosa più forte di Scicli, ho sempre risposto che la situazione pù incredibile è quella che ha visto nel raggio di venti metri abitare, in un unico quartiere, donna Stella, lo scrittore Marco Steiner e il filosofo Giorgio Agamben, che di Pasolini (corsi e ricorsi) fu amico. Ma la cosa più commovente è che di fronte a questi nuovi vicini di casa stranieri, Stella si preoccupasse di fare loro una cotoletta quando tornavano da luoghi lontani, incurante del fatto che nessuno di loro le avesse mai chiesto di cucinare. C'era in quel gesto una attenzione, un atto d'amore, per lo sconosciuto. Gesto capito e apprezzato a tal punto che uno di loro è arrivato a chiamare Stella una propria figlia.
Il 16 luglio del 2019, ho deciso di fare una intervista rubata a Stella, e il destino ha voluto che sia stata l'ultima volta che l'ho vista. Sapevo che era un documento da conservare. E oggi rido e piango sentendo il continuo arrivederci con cui cerchiamo di salutarci, senza lasciarci.
Foto di copertina di Luigi Nifosì.