In Italia, in dieci anni si è ridotto il consumo medio di sale di circa il 12%, questo è quanto è emerso dal Progetto Cuore, passando da un’assunzione media giornaliera di 10,8 g negli uomini e 8,3 g nelle donne nel 2008-2012 a rispettivamente 9,5 g e 7,2 g nel 2018-2019. Piatti più sani sulle tavole degli italiani quindi. E’ quanto emerge dal monitoraggio della popolazione italiana adulta dei livelli urinari giornalieri di sodio, indicatori del consumo abituale di sale, i cui risultati sono disponibili online sulla rivista 'Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases'. Il monitoraggio, promosso e finanziato dal ministero della Salute è partito nel 2008. Il Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm), e condotto dal Dipartimento malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e invecchiamento dell'Istituto superiore di Sanità (Iss), in collaborazione con l'università degli Studi di Napoli Federico II.
Lo studio del progetto Cuore
"Lo studio – spiega Chiara Donfrancesco, la responsabile dell'indagine che ha confrontato i dati in campioni estratti casualmente dalla popolazione generale adulta nel 2008-2012 e nel 2018-2019 nell'ambito del Progetto Cuore. I campioni di popolazione coinvolti riguardano, per ciascun periodo, circa 2.000 uomini e donne di età compresa tra i 35 e i 74 anni residenti in 10 Regioni italiane, distribuite tra il Nord, il Centro e il Sud Italia: Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sicilia. Abbiamo così potuto osservare riduzione significativa dell'assunzione di sale in 10 anni". La riduzione è stata rilevata, sebbene in misura diversa, in quasi tutte le Regioni esaminate e in tutte le classi di età, categorie di indice di massa corporea (normopeso, sovrappeso, obesi) e livelli di istruzione, e corrisponde a oltre un terzo rispetto all'obiettivo del 30% indicato nel Piano d'azione globale dell'Oms da raggiungere entro il 2025. "La diminuzione dell'assunzione di sale - afferma Pasquale Strazzullo, già docente di Medicina Interna all'Ateneo Federico II e coautore dello studio - è stata dimostrata efficace nel ridurre la pressione arteriosa e il rischio di malattie cardiovascolari associate ed è identificata come una delle misure più convenienti, in termini di costi-benefici, per la tutela della salute a livello di popolazione. Per questo motivo, una riduzione relativa del 30% dell'assunzione media di sale entro il 2025 è tra i nove obiettivi strategici che l’Oms ha incluso nel Piano d'azione globale 2013-2020 per le malattie non trasmissibili".
Valutati i livelli urinari di potassio
Nel corso delle indagini condotte del Progetto Cuore, sono stati valutati anche i livelli urinari di potassio, come indicatore del consumo di frutta, verdura e legumi, alimenti fra tutti più ricchi in potassio, il cui apporto, contrariamente a quello del sale, deve aumentare, in quanto associato ad un minor rischio di diverse malattie non trasmissibili, tra cui patologie cardiovascolari, calcolosi renale e osteoporosi. I risultati, anch'essi disponibili online sulla medesima rivista scientifica, hanno messo in luce che siamo lontani dagli almeno 3.510 mg raccomandati dall’Oms: nel 2008-2012, la stima della media giornaliera di assunzione di potassio era pari a 3.147 mg negli uomini e a 2.784 mg nelle donne e nel 2018-2019 è stata di 3.043 mg e 2.561 mg rispettivamente. Un apporto medio di potassio inferiore rispetto a quello adeguato è stato riscontrato in tutte le Regioni esaminate, classi di età, categorie di indice di massa corporea e livelli di istruzione. "È bene sottolineare - sottolinea Daniela Galeone, dirigente medico del ministero della Salute e referente del Programma 'Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari' e del Piano nazionale della prevenzione – che, nonostante l’incoraggiante riscontro di una significativa riduzione, il consumo di sale della popolazione italiana adulta resta ancora ben al di sopra di quello raccomandato dall'Oms, inferiore ai 5 g al giorno, sia per gli uomini che per le donne, in tutte le Regioni e categorie esaminate. "Questi risultati, che offrono importanti indicazioni per la salute pubblica basate sull’evidenza scientifica - aggiunge - confermano l'importanza della prosecuzione e del rafforzamento delle strategie attuate per la riduzione del consumo di sale con l'alimentazione e la promozione di un adeguato consumo di frutta e verdura e rappresentano un prezioso riferimento per le iniziative che ministero della Salute e Regioni intraprenderanno al riguardo in attuazione del Piano nazionale della Prevenzione 2020-2025. Ora l'impegno, commenta l'Iss, dovrà proseguire per avere una sempre maggiore riduzione della frequenza delle malattie legate alla carenza di iodio (gozzo, noduli, ipotiroidismo congenito, tumori tiroidei più aggressivi) con azioni mirate ed efficaci. In particolare bisognerà eliminare le disuguaglianze emerse, quali il maggior utilizzo del sale iodato al Nord rispetto al Centro e al Sud e tra le persone più avvantaggiate in termini economici e di istruzione. È auspicabile, pertanto, che vi siano ulteriori monitoraggi periodici e che proseguano iniziative di sensibilizzazione dei produttori e di comunicazione per la popolazione generale, secondo un'idea di promozione della salute che mira a cittadini informati, consapevoli e protagonisti delle scelte sulla propria salute", conclude Galeone.