Per Giuseppe Ungaretti la poesia è un segreto destinato a restar tale al poeta stesso. La sua mano, nei casi d’ispirazione più felici, pare guidata da un’intelligenza superiore, che spinge il significato di ciò sta creando oltre la sua intenzione e la sua consapevolezza: la pregnanza di certi versi sfugge, fatalmente, anche all’autore. Paolo Conte, dichiarando in varie occasioni che la versione di Azzurro cantata da Adriano Celentano è la migliore possibile, dimostra: o una grande umiltà e indulgenza verso il cantante (senza il quale sicuramente il brano non sarebbe diventato la canzone italiana più conosciuta al mondo anche del Blu di Domenico Modugno); oppure che neanche lui ha capito il senso profondo e nascosto di ciò che ha scritto insieme a Vito Pallavicini. Vero è che capolavoro è quell'opera capace di schiudere significati diversi in diverse persone e nella medesima persona, nei differenti momenti della sua vita e perfino della giornata. Ben venga dunque anche la versione da scampagnata fuori porta del Molleggiato: Azzurro è godibile a più livelli. Nel dubbio però che sia vissuta solo come un serenata d’amore verso la propria amata, estiva e scanzonata, ci accingiamo a un’analisi parola per parola del testo - come si faceva a scuola - per dimostrare quello che riteniamo invece l’autentico contenuto del brano, ben più amaro: il desiderio infranto di un impossibile ritorno all'infanzia.
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Cerco l'estate tutto l'anno
e all'improvviso eccola qua
Attacco folgorante: in poche e semplici parole, gettate di slancio, una sensazione profonda, provata da chiunque.
lei è partita per le spiagge
e sono solo quassù in città
Alcune versioni riportano quaggiù e la differenza sostanziale: il primo avverbio indica una condizione geografica per cui la discesa al mare, specie chi è piemontese, rappresenta un cambio d’altitudine; il secondo la condizione spirituale di chi si trova bloccato, isolato, lontano da sogni e obiettivi.
sento fischiare sopra i tetti
un aeroplano, che se ne va
Primo enjambement, figura poetica molto cara a Conte. Non è in vacanza solo la compagna ma gran parte della città, ognuno col suo mezzo di trasporto. Ad ogni modo l’autore chiarirà, all’ultima strofa, che la solitudine a cui allude non è dovuta all’assenza di persone fisiche.
Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me
Superbo accostamento cromatico, una sinestesia tra colore e porzione del giorno: la bellezza della giornata estiva stride col sentimento che cova l’autore, e dunque sembra non finire mai. Il pomeriggio non è solo quel momento del giorno in cui, passate le ore più calde, si esce a fare quattro passi ma è anche, ovviamente, la fase della vita in cui si trova il protagonista.
mi accorgo di non avere più risorse senza di te
Da notare l’assonanza tra lungo, su cui interrompe il cantato del primo verso e accorgo, con cui spezza l'inizio del secondo. Raffinatezze stilistiche a parte, adesso l’autore è costretto a stringere su una domanda che si stanno facendo tutti: ma perché non raggiunge la sua donna? Tanto più che pare non abbia molto da fare e il pomeriggio non passi più.
e allora io quasi quasi prendo il treno
e vengo, vengo da te
Perché prende il treno se c’è l’aereo, già nominato, che è più veloce e a cui poteva agganciarsi nel testo? Anche qui il confine tra descrizione realistica e metafora è labile. L’aereo è già passato e forse il posto da raggiungere non è così lontano da dovervi ricorrere. Ma il treno ha anche una forza evocativa totalmente differente: col suo macinare il paesaggio chilometro dopo chilometro, si avvicina lentamente alla meta, permettendo di metabolizzare il cambiamento di scenario. E’ un mezzo che, in questo periodo dell’esistenza, si addice meglio allo stato d’animo del personaggio: ciò di cui ha bisogno, infatti, è tutto il contrario che correre a rilassarsi in spiaggia.
ma il treno dei desideri nei miei
pensieri all'incontrario va
Altro enjambement, ripetuto anche nel cantato, con rima alternata. Splendida la figura del ‘treno dei desideri’ che corre nella mente. Ma andiamo al sodo: il protagonista vuole tornare indietro nel tempo, alla sua infanzia. Non vuole andare avanti, proiettarsi nel futuro, immaginarsi nel domani, vivere una nuova avventura in un altro posto; ma rivolgersi per un po’ a ieri, ripercorrere coi ricordi ciò che è stato, fare retromarcia, rientrare alla stazione di partenza per riviverne le tappe.
Sembra quand'ero all'oratorio
con tanto sole, tanti anni fa
Il viaggio a ritroso comincia col paragone tra la situazione presente e quella passata. Di più, è proprio la situazione attuale a riportarlo alle estati passate, apparentemente molto simili. Conte è già tornato bambino, in un lampo.
quelle domeniche da solo
in un cortile a passeggiar
Che non trovi con chi parlare perché la città s’è svuotata ci poteva anche stare, ma che un ragazzino stia solo in un oratorio, di domenica, è un’immagine decisamente surreale.
ora mi annoio più di allora
neanche un prete per chiacchierar
Pure il sacerdote è in ferie! Certo il protagonista potrebbe esser stato introverso già da piccolo ma allora, appunto per questo, capiamo come a starsene in disparte non lo costringa in realtà la mancanza di persone intorno. Ma il bisogno, da sempre, di starsene un po' con se stesso.
Cerco un po' d'Africa in giardino
tra l'oleandro e il baobab
L’ultima strofa dopo il ritornello si apre con una di quelle fughe esotiche, immaginifiche, che sono tra le caratteristiche principali di tutta la poetica contiana. Da Messico e Nuvole a Onda su Onda, da Nord ad Aguaplano fino alle recentissime produzioni: l'anelito ma anche e soprattutto l'ansia della fuga. In terre remote, distanti, destinate per l’abitudine di vivere a restare solo vagheggiate.
come facevo da bambino
ma qui c'è gente, non si può più
L’autore si è talmente perso nel ricordo che vorrebbe addirittura mettersi a saltellare come un tempo tra le piante del cortile, ma... allora la gente c'è! Eppure un attimo prima non c’era neanche il prete. La ‘solitudine’ è finalmente smascherata per quello che è: puramente esistenziale, interiore. I passanti lo prenderebbero per pazzo se lo vedessero alla sua età giocare all’indiano o al guerriero africano: il sogno di ‘fuga’, esotico e temporale, è ancora una volta infranto.
stanno innaffiando le tue rose
non c'è il leone, chissà dov'è
L’autore non chiude il discorso e ci lascia con una immagine sfumata, onirica, seguita dal ritornello che lascia la questione aperta: a impedirgli di continuare a sognare non è solo il giardiniere del palazzo, piazzatosi proprio vicino agli alberi e ai cespugli in cui s’è nascosto, che gli ricordano forse la madre o un primissimo amore. E’ anche la sua immaginazione, a non essere più vivida come un tempo. Come fa un uomo di mezza età a immedesimarsi in un cacciatore, come può riuscirci un bambino? E la scena resta lì, sospesa, davanti alle palme e al fossato con i fiori di un condominio. Alla sostanziale disillusione del testo fa da contrappunto una musica brillante, elegante, con un motivo straordinariamente orecchiabile: è il colpo di genio, che trasforma una poesia un’opera d’arte.