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Un libro con le corrispondenze di Goliarda Sapienza

Un’autobiografia della scrittrice attraverso la cultura italiana del Novecento

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Lettere e biglietti. Sarà pubblicato domani da La Nave di Teseo il nuovo libro per conoscere la scrittrice catanese de “L’arte della gioia”, capolavoro della letteratura contemporanea. 

Ci sono le lettere indirizzate a Luchino Visconti per commentare a caldo l’uscita di “Rocco e i suoi fratelli”, quelle piene di gentilezza tra amiche scambiate con all’attrice americana, Haya Harareet, una delle attrici del cast di Ben Hur, con Fleur Jaeggy, con Pietro Nenni, con il suo primo amore importante, il regista Citto Maselli, con il critico Giancarlo Vigorelli, con Piera Degli Espositi e Marta Marzotto e con l’amica Bianca alla quale scrive «perdono» e si diverte a mettere a fuoco «il clima eroticamente stronzo» in cui vive. E poi i biglietti, brevi, appassionati, curati linguisticamente come fossero poesie come quelli inviati al marito Angelo Pellegrino, ultimo compagno di Goliarda Sapienza, custode e curatore postumo della sua immensa opera letteraria, che ha portato a pubblicazione quello che a buon diritto chiama «forse uno degli ultimi epistolari della letteratura occidentale».

Le lettere raccolte da Pellegrino sono quelle di cui la Sapienza conservava le minute, la prima stesura sulla quale faceva tagli e correzioni per raggiungere proprio quella limpidezza del ragionamento che era la stessa che lei ricercava nelle relazioni, di amicizia, d’amore e di scambio intellettuale.
Nella Roma della fine degli anni ’60, in quella che Pellegrino definisce una «una sorta di Bloomsbury staliniana sul Tevere», nell’articolata complicità tra l’ideologia del Partito comunista e la società delle arti, la Sapienza affrontava a occhi aperti la complessità delle relazioni, della vita, della letteratura, dell’arte, in una società che mostrava di essere molto più articolata di quella di oggi, meno bigotta, più rivoluzionaria.

«Cittino caro, sono arrivata da due ore, ho aperto le valigie e messo tutti i miei… tesori (regalati da Uccetto) al loro posto. Non puoi immaginare che meraviglia questa “casetta” piena, piena come se fosse abitata da anni. Ritornando qui ho avuto proprio la sensazione di tornare in una “casetta” vecchia come il nostro rapporto. È meravigliosa!! Ho messo subito “le stagioni” di Vivaldi e mentre cambiavo il disco – fra un traffico di borsette e collanine – ho visto la nave quasi, anzi proprio, appesa alla finestra, che si dondolava al sole in maniera sconciamente dolce e mi è venuto da piangere pensando… al mio Uccetto lavoratore». Lui è Citto Maselli, col quale Goliarda Sapienza ebbe una lunga relazione. Lo conobbe a Roma, dove era arrivata per fare l’attrice. Era nata a Catania nel 1924, suo padre era un avvocato con la passione del teatro, la madre, Maria Giudice, una celebre sindacalista, prima dirigente donna della Camera del Lavoro di Torino. Si diplomò in Accademia, recitò, lavorò con Maselli come documentarista poi sposò Angelo Pellegrino, che è anche il curatore di questo libro, e si mise a scrivere.
Nel 1967 pubblicò il primo libro Lettera aperta e due anni dopo Il filo di mezzogiorno. Era conosciuta, amata da Attilio Bertolucci, Enzo Siciliano, Cesare Garboli, che appaiono come destinatari di alcune di queste lettere di scintillante intelligenza. Scriveva della sua vita del cinema, della Sicilia, della terapia con Ignazio Majore e dell’elettrochoc, dei sogni dei fantasmi, di politica e femminismo. Ma a un certo punto iniziò a pensare che la sua voce se ne stava andando. Aveva bisogno di un’esistenza più irriguardosa e di finzione.

Finì nel carcere di Rebibbia con una condanna per furto e ricettazione, si disinteressò al denaro, fin quasi alla povertà, pur di scrivere finalmente la sua opus magna: L’arte della Gioia. Romanzo magnifico, divenuto celebre e amatissimo solo dopo la morte dell’autrice. «È un romanzo storico» scrive a Sandro Pertini, amico della madre, per chiedergli di intercedere con Inge Feltrinelli, che ce l’ha in lettura, «Da due anni cerco di pubblicare questo mio lavoro, ma da tutte le parti mi viene detto che l’editoria è cambiata, che ormai si pubblicano solo libri che devono essere un sicuro successo di cassetta, scritti solo dietro richiesta dell’editore e dopo indagini di mercato: una nuova specie di fascismo culturale contro il quale mi trovo a lottare con poche forze. Presto non ci sarà più l’artigianato dello scrittore, e non ci può essere vera arte senza artigianato. Presto il libro verrà confezionato come un qualsiasi prodotto dell’industria, in un laboratorio diretto da una squadra di tecnici abili solo nell’accontentare il gusto corrente, che consente grandi e facili guadagni». Scrisse anche a Pietro Nenni, ma anche in questo caso invano.

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Morì a Gaeta, nell’agosto del 1996, dove viveva da sola. «Sono incorreggibile, Siciliana + Cattolica + Astratta + Senza il senso del tempo + Isolana + Egoista + Poco espansiva + Poco gelosa (meno che in amore carnale fra uomo e donna) + Anemica + Vecchia …persona intrattabile e da lasciare… sola».


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