Scicli - Difficile che una persona nata e cresciuta a Roma sgrani gli occhi di fronte a un’altra città. Difficile per chi è abituato ad aggirarsi in un museo all’aperto provare un’autentica meraviglia perfino in città d’arte come Venezia e Firenze. La spocchia di certi capitolini deriva anche dal fatto di pensare di avere già tutto a casa loro. Non è difficile invece che un romano che vive a 5 minuti a piedi dalla Basilica di San Giovanni in Laterano, a 20 dal Colosseo, a 40 dai Fori Imperiali, si emozioni a Scicli: una cittadina unica, che forse neanche tutti in Italia ancora conoscono. Pazzesco che un tale cammeo, incastonato in un canyon di arte e storia, debba la riscoperta ottenuta negli ultimi anni a uno sceneggiato tv.
Il bianco del 700, l’azzurro-oro dell’800, i palazzi nobiliari color sabbia, che sembrano scolpiti direttamente nella roccia. A me, ad esempio, hanno ricordato i colori di Petra, in Giordania. Perché Scicli è un piccolo riassunto del mondo intero. Dalle piazze ai vicoli, dalle chiese alle grotte, dalla gente, pervasa da un’ospitalità antica, al cibo, che è nutrimento culturale.
Se poi un romano ha la fortuna di avere come “cicerone” Peppe Savà, allora c’è il serio rischio che a Scicli voglia restarci, che lo sguardo dai cornicioni e dalle facciate tardo barocche si sposti ai portoni in cerca di un cartello affittasi o vendesi. Non mi stupisce che in passato intellettuali come Germi e Pasolini vi abbiano legato parte della loro vita e oggi personaggi illustri come il filosofo Giorgio Agamben - dopo aver girato, vissuto e insegnato in mezzo mondo - abbiano deciso infine di trasferirsi qui. Mi è bastato un mezzo pomeriggio, accompagnato per le vie del centro dai racconti e gli aneddoti di Savà, per essere contagiato dalla sua passione per Scicli e giurare a me stesso che ci tornerò. Presto e più a lungo. “E hai visto solo il 5%” dice Savà. Qui basta un assaggio, per provare amore al primo morso.