Giudiziaria L'intervista

Acate, il fratello di Daouda: «Ridatecelo, anche morto»

"Mia cognata vorrebbe venire in Sicilia con il figlio per capire, ma non ha i soldi". I familiari chiedono che sia ritrovato almeno il corpo



 Acate - "Mio marito non lavora, senza il suo aiuto, mio figlio non avrebbe potuto frequentare la scuola" dice la sorella minore di Daouda Diane. Lo stesso vale per gli altri nipotini, figli degli altri fratelli; oltre naturalmente a sua moglie Awa (nella foto allegata) e suo figlio: più di una famiglia, in Costa d'Avorio, era sulle sue spalle, dipendeva da quei lavoretti di mediatore culturale, bracciante e operaio che il 37enne aveva trovato nella piccola Acate, da dove è scomparso da oltre tre mesi. "Per noi era un punto di riferimento e ne era consapevole, non sarebbe mai sparito così" dice a Repubblica un fratello, Abou Koné, contattato solo di recente dai pm. La Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo e occultamento di cadavere, dopo aver battuto per un mese la pista di un improbabile allontanamento volontario; che sarebbe avvenuto a pochi giorni dal ritorno a casa, in Africa, con un volo già pagato. "Era lui a permetterci di sopravvivere, inviando quello che guadagnava in Sicilia". Adesso non sanno letteralmente come campare. Abou Koné è tra le ultime persone con cui Daou, come lo chiama da quand'erano piccoli, si è messo in contatto prima di dissolversi nel nulla.

Anche a lui - come a Marciré, il collega e amico con cui divideva casa - ha inviato sul telefonino i due video girati il 2 luglio scorso nella Sgv Calcestruzzi in cui stava lavorando in nero. "In quel momento mio fratello era vivo, subito dopo il suo cellulare è rimasto per sempre irraggiungibile: ho provato a chiamarlo un'infinità di volte, non ha più risposto. Mi parlava spesso delle condizioni di lavoro, che da qui neanche lo si immagina”. Nel frattempo “sua moglie ha smesso di mangiare, non fa che piangere”. La donna chiede ogni giorno novità, che non arrivano mai. "Voleva portarla in Italia con il figlio, lavorava per questo". Lei vorrebbe venire "per capire cosa sta succedendo, seguire il caso, chiedere giustizia. Ma non abbiamo i mezzi economici, aiutateci a far arrivare la moglie di Daou in Sicilia per seguire il caso, ha diritto alla verità". Un appello pure agli inquirenti, ad "andare fino in fondo: è impensabile che in un Paese civile e sviluppato come l'Italia, una terra in cui esiste la legge, mio fratello non si trovi né vivo né morto". Abou Koné non lo dice, ma si accontenterebbe anche della seconda drammatica ipotesi, pur di avere dei resti da piangere e ricordare, e di smettere di sperare invano in un miracolo.

L'Usb ha promosso una raccolta fondi per la famiglia: "La vicenda Daouda non può rimanere impunita, un uomo non può sparire nel nulla, senza lasciare traccia" ha ripetuto giusto ieri Michele Mililli, il responsabile provinciale del sindacato che ha preso a cuore la vicenda fin dall'inizio, confermando che i parenti sono stati contattati dagli investigatori. "Sono rimasti tutti senza reddito - aggiunge -, abbiamo già mandato una prima somma alla moglie, manderemo altri soldi a inizio novembre". Almeno due testimoni affermano di aver visto Dauda uscire dal cementificio, fa sapere il procuratore di Ragusa Fabio D’Anna: ma chi sono, gli operai della stessa ditta? "Sulla strada non ci sono telecamere e all’esterno nessuno lo ha più visto", aggiunge: dunque il delitto, se di questo si tratta, potrebbe esser stato commesso altrove. Gli inquirenti se la prendono comoda: attendono ancora l’esito degli esami del Ris nella betoniera dentro cui Daouda ha girato il suo ultimo filmato, eseguiti però molti giorni dopo la sparizione.


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