Ragusa - Il veleno urticante della Caravella Portoghese, che in Sicilia ha costretto una bagnante al ricovero in ospedale, è annoverato dalla scienza tra i più potenti e pericolosi della fauna marina. Non è letale come quello delle cubomeduse australiane, ma può avere serie conseguenze in soggetti particolarmente vulnerabili “Se è robusta, e se la puntura si verifica mentre l'animale sta pescando, i sintomi, in chi ne è vittima, sono molto forti, simili a quelli di una fortissima scarica elettrica, e il segno che rimane è come quello di un ferro rovente appoggiato sulla pelle” affermò il prof. Ferdinando Boero, esperto di celenterati e docente di Zoologia e Antropologia presso la Federico II di Napoli, quando 12 anni fa una donna venne addirittura uccisa dal morso di una Caravella.
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Oltre al dolore lancinante, la reazione in soggetti sensibili e allergici può portare alla paralisi, all'arresto cardiocircolatorio e allo shock anafilattico. Intanto evidenziamo che, quando una medusa o un organismo affine ci punge con i suoi tentacoli, non ci sta attaccando: semplicemente ci siamo andati a sbattere contro o è l'animale a esserci finito addosso per caso, senza alcun intento aggressivo. Insomma, è solo sfortuna. In caso di puntura è fondamentale mantenere la calma e non farsi prendere dal panico, anche perché il dolore può essere insopportabile e nei soggetti predisposti può scatenarsi l'anafilassi: una reazione allergica potenzialmente fatale. Se si è in acqua alta è importante tornare subito indietro a nuoto, salire su un'imbarcazione o comunque farsi aiutare da qualcuno, ma assolutamente non restare sul posto. Nuove punture aggraverebbero infatti le conseguenze.
Come spiegato dal dott. Antonio De Bitonto, responsabile dell’Unità Operativa di Dermatologia al Policlinico San Marco, una volta a riva va verificato che non siano rimasti pezzi dell'animale attaccati al corpo, che vanno eliminati con molta attenzione. Se si usano le mani vanno messi i guanti, ma sarebbe meglio adoperare un oggetto sottile e rigido, come una scheda o una carta di credito, agendo delicatamente senza grattare la pelle. Dopo aver tolto i residui del tentacolo, la zona colpita va risciacquata abbondantemente con acqua di mare, così da diluire il veleno non ancora penetrato nell’epidermide. Non usare l'acqua dolce che, al contrario di quella salata, può favorire lo scoppio di eventuali nematocisti rimaste sulla pelle, con conseguente rilascio di ulteriori tossine.
Bando pure alla pipì sulla ferita: l'ammoniaca non solo non riduce bruciore e gonfiore ma - come alcol, acqua ossigenata, aceto, limone e altri “rimedi della nonna” - rischia solo di peggiorare l'infiammazione. Se col passare delle ore i sintomi non dovessero migliorare neanche leggermente, o addirittura ci si inizi a sentire male (ma è molto raro), è bene recarsi prontamente da una guardia medica o in pronto soccorso. Molto efficaci sono il gel al cloruro di alluminio, che ha un effetto astringente, o una crema al cortisone; anche l'aloe vera e la calendula sono prodotti naturali utili. Nei giorni successivi è bene proteggere dal sole la parte colpita, per evitare che restino macchie e cicatrici diventino scure, lasciando un segno vistoso per sempre.