Ragusa - C’è chi già grida al miracolo, chi se la prende con la Regione perché non è ancora stata raccolta e chi resta scettico, ma stavolta non è una questione di fede o di supposizioni, l’acqua sotti ai monti Iblei c’è ed è pure tanta, da una prima stima si direbbe «17 miliardi di metri cubi, tra acque dolci e acque salmastre, comunque meno salate del mare», conferma Lorenzo Lipparini, primo firmatario di uno studio scientifico condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’Università di Malta, e dell’Università RomaTre. Uno studio che ha alla sua base un cambiamento radicale nella prospettiva nella ricerca di quella che è la più importante risorsa del pianeta, quella di cercare l’acqua come si fa con il petrolio, a grandissime profondità. E come il petrolio andrebbe cercata ad altissima profonditá, a differenza di quanto fatto finora, sotto ai monti Iblei, dove gli studiosi hanno trovato il maxi giacimento, la cui scoperta risale al novembre dello scorso anno, anche se è adesso, con un’emergenza siccità esplosa già da tempo, che se ne è iniziato a parlare in maniera prepotente. E che anche la politica se n’è accorta, tanto che Lipparini ha incontrato la scorsa settimana Salvo Cocina, capo regionale della protezione civile, per parlare dell’acqua iblea insieme alla cabina di regia istituita dalla Regione per affrontare la crisi. E pensare che nella scorsa legislatura, Gaetano Armao, allora vicepresidente della Regione e assessore al Bilancio, aveva pure stanziato otto milioni per questo tipo di ricerche, anche se alla fine non se ne fece niente. Magari non una grande cifra, ma avrebbe consentito di scavare almeno tre o quattro pozzi, visto che, nel caso specifico, «l’acqua si trova conservata in un acquifero tra i 700 e i 2500 metri di profondità», come spiega lo scienziato.
Lipparini che da par suo non ha ancora mai effettivamente toccato con mano l’acqua del giacimento, ma sa con certezza che c’è e che si tratta di acqua preistorica, una sorta di dinosauro liquido, visto che si tratterebbe di «acque fossili soggette a un meccanismo di ricarica meteorica, dovuto all’abbassamento del livello del mare che ha interessato la Sicilia circa sei milioni di anni fa e che si è ricaricata col tempo e si è conservata intatta fino ai giorni nostri». Ma attenti a cantare vittoria troppo presto, l’acqua in questione andrebbe infatti analizzata anzitutto dal punto di vista chimico, poi anche a livello territoriale andranno fatti degli studi sulla sostenibilità di un eventuale scavo sia da un punto di vista ambientale e idrogeologico, che da un punto di vista economico. E la Sicilia intanto resta col fiato sospeso.