Scicli - “Mi basta una poltrona e uno specchio. Ovunque siano, questa è la mia idea di libertà”.
La poltrona è quella del barbiere e “il” barbiere, con l’articolo al maschile, è lei, Jessica Di Natale.
Questa giovane donna dagli occhi grandi, materni, i denti bianchissimi, i capelli dolcemente ondulati, ha scelto di fare un mestiere antico e maschile, almeno in Sicilia, e lo fa con la naturalezza di chi non ha nulla da temere e nemmeno da dimostrare.
“Sono nata a Monaco, in Germania, da genitori siciliani. Sono tornata a vivere in Sicilia all’età di 5 anni, nella città di origine della mia famiglia, Adrano, dove a 14 anni ho iniziato a fare il barbiere sotto casa, in una delle sale da barba più rinomate”.
Terza di quattro figli, ben presto Jessica decide di lasciare quel posto complicato e di trasferirsi a Catania, dove prende, sedicenne, una stanza in affitto, e va a lavorare in una sala da barba cittadina. E’ la prima barbiere donna ai piedi dell’Etna.
Non hai mai avuto paura o difficoltà, tu donna, in un mondo di soli uomini?
“Vedi, ho un approccio femminile in un mondo in cui il codice è maschile. Ma so come comportarmi, come gestire la battuta, come mettermi da quest’altra parte della barricata diventando complice del mio cliente, destreggiandomi con naturalezza”.
Ti sarà capitato di dover fare i conti con frasi vagamente scherzose, insinuazioni fuori luogo…
“Penso di riuscire a smazzarmela bene, so come capovolgere le situazioni, esco sempre bene dalla dinamica del dialogo, per cui non c’è mai un seguito al gioco verbale che a volte si instaura mentre lavoro”.
Da Catania a Vicenza il passo è breve per Jessica appena maggiorenne e da qui a Milano, dove per la prima volta fa la parrucchiera per donna, appena ventenne. Lavora per alcuni grandi nomi, Tony&Guy, Aldo Coppola, ma quel mondo non fa per lei. Sente il fiato sul collo della competizione femminile. Torna a fare il barbiere.
Già, ma perché non dici “la barbiera”?
“Quando ho iniziato io non c’era la declinazione al femminile dei sostantivi, era “il barbiere” e io mi considero barbiere, al maschile”.
Jessica torna a Vicenza ma cambia lavoro: “Divento sommelier, lavoro in una vinoteca”. Così per quattro anni, finché non arriva l’invito di alcuni amici di infanzia che vivono nello Yorkshire, in Inghilterra.
“E a Leeds ho ripreso a fare quello che so fare meglio”.
Nel Regno Unito la figura del barbiere donna è comunissimo, e Jessica lavora oltre Manica cinque anni, finché non diventa brand ambassador delle macchinette Wahl, le più utilizzate clip hair per barbieri.
“Mi hanno aperto un corner a Leeds, e poi mi hanno proposto di fare il brand ambassador in giro per l’Europa, promuovendo show, mostrando quali erano i tagli di tendenza, le mode da seguire grazie all’uso delle shears, le macchinette”.
Sono cinque anni divertenti: “Guadagnavo molto bene, ma avevo un bimbo da crescere, e nel frattempo ero rimasta sola in questa esperienza di famiglia. Ho sentito il bisogno -a una certa- di tornare a casa”.
Dopo aver visitato Modica, nel 2017, Jessica decide di traferirsi qui, e trova lavoro in una sala da barba che ancora oggi è la sua sede professionale, nella parte bassa della città. Promuove performance facendo ospitate in pub, locali, persino a Ibla Buskers dove taglia le barbe facendo sedere gli uomini in poltrone vintage in piazza, confondendosi con gli artisti di strada.
Come sei stata accolta a Modica, a Ragusa?
“Non è stato facilissimo. All’inizio alcuni venivano per curiosità. Nel 2017 arrivai in una sala che esisteva da tanto tempo e che ha ancora i suoi clienti storici; io ero la novità, la cosa insolita. Vedi, non ho mai voluto fare i tagli, ma sempre e solo la barba. I clienti si sentivano a disagio, ma io sfatavo quella sensazione, e poco dopo la dinamica diventava subito naturale, rilassata”.
Jessica, hai avuto tante vite: in Germania, da bambina, in una Sicilia arcaica, poi nel Nord Italia, infine in Inghilterra e in Europa. E gli ultimi anni tra Modica, dove lavori, e Scicli, dove vivi.
Hai un sogno?
“Forse ti stupirò, ma non ho mai voluto un salone tutto mio. Il mio sogno si chiama libertà, pensare di poter lavorare ovunque coi ferri del mio mestiere. Mi bastano una poltrona e uno specchio”.