Whashington - Joe Biden, 77 anni, è il 46esimo presidente degli Stati Uniti. Lo spoglio delle schede non è ancora terminato, ma alle 11.23 del 7 novembre la proiezione della Cnn ha confermato la notizia ormai nell’aria da tre giorni: il candidato democratico ha vinto. Decisiva la Pennsylvania, ma Biden ha in testa anche in Arizona, Nevada e Georgia. I margini sono ristretti, ma il dato politico incontestabile è che il numero due di Barack Obama ha recuperato i voti persi da Hillary Clinton nel 2016. Ha ricostruito il cosiddetto Blue Wall, il corridoio che porta verso il Nord industriale del Paese: Pennsylvania, Wisconsin, Michigan. Inoltre ha espugnato due bastioni storici del Sud repubblicano e della cultura conservatrice americana: Arizona e Georgia.
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Nel conteggio finale Biden arriva a 306 delegati, ben al di là dunque del numero magico, 270, la soglia minima della maggioranza, considerando che sono 538 i rappresentanti del Collegio elettorale. Ma Trump non accetta l’esito delle urne. Come previsto da settimane, il presidente in carica ha scatenato la guerriglia giudiziaria, annunciandolo in diretta televisiva giovedì nella serata americana: «Il sistema è corrotto, i democratici vogliono rubarci le elezioni. Con i voti legali, abbiamo vinto largamente. Ma stanno contando anche i voti illegali, stanno manovrando per truccare i risultati. Stiamo facendo ricorso in molti posti e la questione finirà davanti alla Corte Suprema».
Adesso vedremo se il successo di Biden renderà più complicata la strategia di Trump. Le basi giuridiche delle contestazioni sono piuttosto fragili. Trump insiste: «Non si possono contare le schede spedite dopo il giorno delle elezioni». Ma le cose non sono andate così. In alcuni Stati, come la Pennsylvania dove sono state prese in considerazione solo le schede arrivate per posta entro il 3 novembre. Difficile prevedere quanto potrà durare la rissa nei tribunali innescata da Trump. Il calendario istituzionale prevede pochi passaggi: entro l’8 dicembre i singoli Stati devono certificare i voti e designare i loro grandi elettori; il 15 si riunisce il Collegio elettorale per nominare formalmente il presidente; il 6 gennaio 2021 il Congresso riconta i voti e dichiara formalmente chi è il vincitore; il 20 gennaio a mezzogiorno, entra in carica il nuovo presidente.
Trump, comunque, non molla. Il sospetto è che stia cercando non solo di rimanere disperatamente alla Casa Bianca, facendo leva sui giudici conservatori della Corte Suprema (tre li ha nominati lui) e fomentando le proteste nelle piazze. Ma «The Donald» ha bisogno anche di una strada per la ritirata, di una «exit strategy». Sicuramente non ha alcuna intenzione di riconoscere quello che è un dato di fatto: è il quattordicesimo presidente su 45 nella storia degli Stati Uniti a dover lasciare la Casa Bianca dopo un solo mandato. Un disastro, in termini strettamente politici. L’ultima volta era accaduto trent’anni fa, nel 1992 al repubblicano George H. Bush e nel 1980 al democratico Jimmy Carter.
In queste elezioni l’affluenza è stata straordinaria: circa 150 milioni di elettori, contro i 137,5 milioni di quattro anni fa. Biden è il candidato che ha ottenuto più consensi di sempre: 73 milioni e, per un curioso paradosso, il suo avversario, con 70 milioni, è il secondo. Ma ancora una volta il messaggio delle cifre è inequivocabile: Trump ha accumulato circa 5,7 milioni di preferenze in più rispetto al 2016. Ma era, ed è rimasto, un leader minoritario nel Paese. Aveva perso con un distacco del 2,1% nel voto popolare contro Hillary Clinton e ora è sotto del 2,8%. Non è riuscito a fare breccia nell’altra metà dell’America e per questo motivo ha perso.
Biden si è presentato agli elettori con una coalizione larga e con una novità epocale: Kamala Harris, che ora diventerà la prima vice presidente «black» della storia. Il ticket Biden-Harris ha promesso di riunificare il Paese, nel mezzo della pandemia e della crisi economica. Non c’è stata l’«onda blu» travolgente prevista da alcuni sondaggisti. Gli Stati Uniti restano divisi in modo ancora più aspro. Per Biden non sarà facile governare, questo è certo. Il Senato è ancora in bilico e probabilmente lo sarà fino al 5 gennaio, quando ci sarà il ballottaggio per i due seggi della Georgia. Al momento il tabellone è 48 a 48. I democratici devono arrivare a 50 su 100. A quel punto Kamala Harris potrà spezzare l’equilibrio, come presidente del Senato.