Catania- Anche quest’anno, i festeggiamenti della città di Catania in onore di sant’Agata saranno accompagnati da una singolare manifestazione: quella delle ‘ntuppatedde, donne mascherate che già Verga descrisse in una delle sue novelle. Una tradizione antica che è ritornata anche quest’anno
Da giorni, esattamente dallo scorso 3 Febbraio, Catania è in fermento per il ritorno della Festa di Sant’Agata che si conclude oggi. Conosciuta come la terza manifestazione religiosa più seguita al mondo, dopo anni bui di Coronavirus che ne hanno impedito il normale svolgimento, quest’anno si è tornati al regolare svolgimento della festa e con essa sono tornate anche le Ntupatedde
Saltano all’occhio, per le strade della città etnea, con i loro indumenti bianchi e un velo che fa trasparire i lineamenti del viso le cosiddette “Ntuppatedde“.
Le Ntupatedde, si aggirando da pochi anni per le vie catanesi durante le festività agatine, sono donne di bianco vestite e velate. Una tradizione nuova ma che ha radici lontanissime, le “‘ntuppatedde” destano ancora molta curiosità tra i veterani della festa
Il gruppo di giovani ragazze è formato da volontarie e studentesse di varie etnie e provenienza, che danzano e ballano accanto alle candelore il 3 febbraio, destando curiosità e stupore. Esse invitano tutte le donne ad avvicinarsi e a unirsi a loro, condividendo con tutte il momento della festa.
Il termine ‘Ntuppatedde deriva dal siciliano “tuppa”, che designa la membrana che protegge il corpo delle lumache e dunque rimanda a qualcosa che si nasconde. Con questa interpretazione è nata la tradizione delle ‘Ntuppatedde a Catania che fa riferimento alle donne che si travestivano e nascondevano il viso per non svelare la propria identità durante i giorni della festa di Sant’Agata.
Molti le chiamano “le vergini” ma sono un gruppo, sempre più alto, di performers che, durante i festeggiamenti in onore della martire Agata, vogliono rivendicare la libertà d’essere donne.
Le ‘Ntuppatedde oggi
Pian piano, questa usanza venne insabbiata e dimenticata. E’ stata ripresa, in maniera simbolica, religiosa e festosa nel 2013, grazie all’artista e performer Elena Rosa.
“Le ragioni che ci spingono a fare quello che facciamo non sono facilmente spiegabili, – dice Elena Rosa – non siamo la ripresa di una tradizione, ma un rito che si ripete ogni anno ispirandosi ad una tradizione perduta. Quello che ci interessa è il movimento e il cambiamento sul piano simbolico, poetico e relazionale. Siamo state una sorpresa, adesso siamo un’attesa”.
Si uniscono ai partecipanti, ballano insieme alle Candelore, spiegano ai curiosi chi erano in origine le ‘ntuppatedde, quando nel lontano ‘800 alle donne, che non godevano di nessuna libertà, veniva concessa una sorta di libera uscita durante i due giorni di festa e, completamente coperte da un velo nero, potevano dedicarsi a un attimo di frivolezza, ballando e gioendo per le vie del centro. Le ‘ntuppatedde oggi non si vestono più di nero, sventolano un fiore rosso simbolo di passione nei confronti della festa e della vita, spronano la donna, con intramontabile voglia, ad essere madri, mogli, figlie libere.
La tradizione delle ‘Ntuppatedde dal 1600 al 1800
Si tratta di una tradizione legata alla Festa di Sant’Agata, attuata a Catania dal 1600 fino al 1870, quando venne soppressa per questioni morali e di sicurezza. Le donne velate erano malviste perchè considerate pericolose e rimandavano alle streghe della tradizione popolare siciliana.
Nella Sicilia di quel tempo, che dava ogni potere decisionale al padre o al marito, la donna aveva poche occasioni di svago e divertimento. In occasione della festa di Sant’Agata, le donne potevano uscire con il vestito più bello che avevano chiedendo in giro doni e stuzzicando altri uomini per affermare la propria libertà e i propri diritti, libere dal controllo maschile. Indossavano dei domino e una maschera successivamente sostituita da un cappuccio con due buchi per gli occhi, liberi di guardare, ammiccare e sedurre. Si coprivano con abiti neri e lasciavano scoperto solo qualche particolare, libere di andare in giro da sole. Non c’era distinzione fra loro: erano nubili, sposate, signore e popolane.
Delle ‘Ntuppatedde ci parla Giovanni Verga nella sua novella “La coda del diavolo” che fa parte della raccolta da “Primavera e altri racconti” del 1877.
Così si legge: […] Il costume componesi di un vestito elegante e severo, possibilmente nero, chiuso quasi per intero nel manto, il quale poi copre tutta la persona e lascia scoperto soltanto un occhio per vederci e per far perdere la tramontana, o per far dare al diavolo (…) Dalle quattro alle otto o alle nove di sera la ‘ntuppatedda è padrona di sé (cosa che da noi ha un certo valore).[…].
Il loro legame con Sant’Agata
Catania è una città che ha una patrona donna. La figura delle ‘Ntuppatedde si collega a Sant’Agata per il fatto che esse vogliono una rivendicazione di libertà e l’emancipazione femminile dal controllo maschile così come Agata aveva protetto il suo diritto di dire di no a Quinziano che la voleva legare a sè violentemente.