Ragusa - E’ difficile trovare un personaggio pubblico - in qualsiasi settore della società, dall’economia allo sport - che non abbia un profilo social. Mario Draghi è forse il più illustre tra questi, a livello internazionale. Impossibile taggarlo se si riuscisse a scattargli una foto, gli stessi colleghi e i cari a lui vicini nella vita privata non possono condividere con lui un appuntamento, una data, un ricordo su quello che è diventato il principale strumento di comunicazione a ogni livello. Neanche a dire che possa celarsi sotto mentite spoglie su un profilo anonimo: a che pro, controllare cosa dicono di lui adesso che la sua popolarità è esplosa? Ammesso che gliene importi qualcosa, nel suo nuovo ruolo di capo di un governo, da in poi avrà certo qualche segretario a riferirglielo. Altri grandi personaggi della politica come la senatrice a vita Liliana Segre, 90 appena compiuti, non ha un profilo personale. Ma sono sempre meno. Finché resterà presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che va per gli 80, è taggabile su quello ufficiale e temporaneo del Quirinale. Poi, forse, ne aprirà uno visto che perfino Giorgio Napolitano, che di anni ne ha 95, e Mario Monti, classe ’43, hanno un account almeno su Twitter. E spesso e volentieri cinguettano. Draghi nemmeno quello.
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Una generazione che sta scomparendo; nata, cresciuta e soprattutto affermatasi quando non c’era ancora nemmeno il computer; irriducibile alle nuove modalità di relazione telematica a cui i contemporanei, anche coetanei, si sono adattati immediatamente e con successo. In pratica, per parlare con Draghi bisogna solo avere il suo cellulare e sperare che non riattacchi prima di rispondere. Probabilmente non ha scaricato neanche Whatsapp. Sicuramente uno degli ultimi rari casi di eremitaggio nel mondo reale, in un panorama dove il consenso e il successo sono sempre più affidati alla visibilità del proprio pensiero, all’affissione nella pubblica bacheca delle prove testamentarie delle nostre azioni. In un’epoca dove informazioni e comunicazioni perfino istituzionali vengono affidate a Facebook e Instagram fa notizia l’assenza, crea fascino e curiosità la mancanza.
Sicuramente Draghi non ha tempo di stare appresso al mondo parallelo del web, che tanto parallelo ormai non è più, ma non si sente neanche in dovere di scomodarsi a ingaggiare qualche team che gestisca i suoi canali, come tanti altri. Poi nel suo campo - quello degli intrichi finanziari e delle matasse bancarie - meno si parla, meno ci si esibisce, meglio è: ogni frase, ogni gesto, ogni sillaba può smuovere gli indici di qualche Borsa. Infatti, dal sì all’incarico del Colle, non ha più spiccicato parola. I social rappresentano per Draghi dei bar sport - come li definiva Umberto Eco, un altro grande vecchio - in cui c’è solo da perdere: campi fangosi di polemiche inutili da cui si esce tutti impantanati e sconfitti, quando già bastano e avanzano messaggi, telefonate, sms, richieste e appelli “taggati” ogni dalle consorterie di palazzo. Che poi, in realtà, Draghi in Rete c’è eccome. Aleggia come uno spettro di secolare memoria, per il web. Basta cliccare il suo nome per avere un dossier di foto, video, dichiarazioni. Tutte riportate da altri, certo: sono gli stessi utenti e i siti a farsi follower e media manager della sua voce, della sua carriera, della sua storia, delle sue gesta e anche delle sue pecche. Senza che debba spenderci un minuto o un euro.