Modica - In occasione della scomparsa di Franco Ruta, fondatore della storica Dolceria Bonajuto di Modica, il 21 febbraio 2016, pubblichiamo un breve racconto scritto per la Fondazione intitolata al promotore della riscoperta del cioccolato artigianale modicano, dall’illustratore ragusano Angelo Ruta, autore del logo della celebre pasticceria.
Il primo ricordo che ho di Franco è di una sera d’estate alla sua casa al mare. Era molto buio. Mi aveva chiesto di mostrargli delle foto in bianco e nero, stampate a casa con un ingranditore di fortuna; poiché non ero del tutto capace, le foto si riducevano a piccoli fogli di carta imbarcata con macchie molto scure, dove a fatica si distinguevano delle ombre. Che cosa lui abbia visto di buono in quelle macchie scure, al buio di quella sera d’estate, non ho mai osato chiederglielo. Però da allora abbiamo cominciato a parlare di fotografie, di libri e di disegni.
Forse nessuno sa che il logo della Dolceria è stato realizzato a Brunico, un settembre di tanti anni fa. Mi ci trovavo per lavoro: insieme a tre amici stavo mettendo a punto la sceneggiatura di un film che avremmo girato da lì a qualche mese. Dovevamo chiudere e lavoravamo intensamente a scene e personaggi. Appena un mese prima, a Modica, Franco mi aveva chiesto di disegnare il logo per dare forma a questo progetto che lo stava tanto appassionando: riaprire la Dolceria. Non gli avevo detto di no, pur consapevole che le scadenze dei due lavori si sarebbero accavallate.
Così mi ero portato in montagna la mia valigetta di colori e contavo di completare l’esecutivo nelle pause dalla sceneggiatura. Stavamo tutti insieme in una casa piuttosto grande, molto vecchia, un po’ austera. Eravamo gli ultimi inquilini perché il proprietario aveva deciso di buttarla giù, con l’idea che sarebbe stato meglio farne al suo posto un condominio. Ma il vero motivo sembra che fosse un altro: tutti in paese dicevano che ci fosse dentro un fantasma. Nessuno di noi ci credeva ma non facevamo che pensarci. Spifferi, rumori improvvisi, oggetti spariti o fuori posto: ma noi imperterriti continuavamo a far finta di niente. Di sera, quando gli altri erano già a letto e io mi attardavo a colorare la grande tavola col logo, mi sentivo osservato.
In breve ho preso ad avere col fantasma lo stesso atteggiamento che Eduardo aveva con la scaramanzia, quando diceva: “crederci è da stupidi ma non crederci porta male”. Così disegnavo senza guardarmi alle spalle e senza curarmi delle porte che si aprivano all’improvviso. Avevo solo l’accortezza, una volta finito, di chiudere con cura il vasetto di colore: perché non ero sicuro che il fantasma ci fosse, ma se c’era, era di sicuro dispettoso. Ad ogni modo il logo riuscii a completarlo e a spedirlo; e a quel punto l’influsso del fantasma svanì. Anzi, a tirare le somme, si può dire che portò fortuna. Il pagamento concordato dalle due parti consisteva in un cannolo di ricotta ogni volta che entravo in dolceria. Cannolo che raddoppiò quando mi sposai e quadruplicò quando nacquero i miei figli.
Ma non fu come il pagamento in chicchi di riso nella famosa partita a scacchi; perché le mie visite a Modica erano sempre meno frequenti e non sempre passavo in dolceria a riscuotere il mio onorario. Se mi fossi ricordato di raccontargliela, la storia del fantasma, sono sicuro che Franco ne avrebbe riso. Forse avrebbe riso anche di questa associazione, mentre noi l’abbiamo presa sul serio, per questo siamo qui. La immagino come un riferimento necessario per la città, un laboratorio di idee, un luogo di scambio. E credo che qualcosa di buono ne verrà fuori.