Pozzallo – Non continua a far discutere solo l’orrore sbarcato a Pozzallo tre giorni fa. Almeno altri 3 bambini sono morti di stenti nell’ultima settimana sulle carrette del Mediterraneo, davanti alle coste meridionali della Sicilia. E le navi delle Ong che solcano il Canale attendono un porto sicuro per altri 750 migranti, salvati nelle ultime giornate. L'assenza di percorsi e corridoi istituzionali e legali per disciplinare flussi impossibili da fermare, getta chi scappa da miseria e carestia tra le braccia dei trafficanti di uomini. La posizione del Papa e della Cei è nota, ma da quando il caso ragusano è arrivato alle cronache è anche l’associazionismo cattolico e cristiano laico a volerla ribadire con forza. Da Avvenire, il quotidiano dei vescovi; a Riforma, quello delle chiese evangeliche, battiste, metodiste e valdesi; dalla Fondazione pastorale Migrantes alla Comunità Papa Giovanni XXIII. Il loro osservatorio sul campo, Operazione Colomba, è presente in Libano ai confini con la Siria da 9 anni.
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I volontari hanno raccolto diverse testimonianze di persone in procinto di tentare la stessa via di fuga verso la speranza. "La totale mancanza di prospettive di vita nei campi profughi del Libano a causa della crisi economica è senza precedenti - racconta Paola Fracella -. Tentare di fuggire è l'unica scelta che abbiamo, come ci dicono i profughi siriani. Così dopo aver abbandonato la propria terra dilaniata da dodici anni di conflitto, si rimettono nelle mani di trafficanti senza scrupoli per raggiungere l'Europa, pur sapendo di rischiare torture, abusi e morte". Gli immigrati "sanno che forse in Europa non arriveranno mai: le notizie di naufragi e morti le conoscono. Eppure preferiscono affrontare tutto ciò invece che continuare a vivere in questo inferno". Fra i sette milioni di siriani che sono stati costretti a scappare dal loro Paese, uno su 2 è un bambino. Chi vive in Libano rischia oggi la deportazione forzata; al rientro in Siria giovani e adulti verrebbero arruolati, arrestati o uccisi, spesso torturati.
"Nulla è cambiato. Riceviamo ogni giorno decine di denunce sul destino di chi torna in Siria, che abbiamo documentato nel nostro report periodico". La Comunità Papa Giovanni XXIII è impegnata da anni insieme ad altre organizzazioni per l'attivazione di corridoi umanitari per i profughi. "Finché questa pratica non verrà implementata e adottata dalla maggioranza dei governi europei - dice il presidente Paolo Ramonda - non potremo dare alternative alle persone che ne hanno bisogno e diritto. La guerra in Ucraina, con la sua conseguente crisi umanitaria, ha mostrato quanto accogliere i rifugiati sia giusto e possibile. L'Italia e l'Europa - conclude - possono riappropriarsi del proprio ruolo di guida nella tutela dei diritti umani, come auspicato dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950". Anche la Comunità di Sant’Egidio tira in ballo direttamente l’Europa: “Non può voltare le spalle di fronte a migranti che muoiono di fame e di sete, far finta di niente, accettare questi eventi come ‘normali’, quasi un prezzo da pagare per continuare a illudersi che il problema non riguardi anche noi”.
L’invito, al contrario, è ad “agire con urgenza: salvare, prima di tutto, in mare, senza rimpallarsi accuse tra Stati sul controllo delle acque territoriali. Ma anche trovare soluzioni, che riguardano il modello dei corridoi umanitari, quote di reinsediamento per i rifugiati richiedenti asilo e ingressi regolari per motivi di lavoro, di cui l’economia italiana ha estremante bisogno. Stare a guardare non solo è colpevole – prosegue il movimento religioso – ma nuoce a tutti perché divora il futuro del nostro continente, che crediamo debba trovare le energie per reagire a tanta disumanità”. Le tragedie del mare “sono tutte terribili ma non sono tutte uguali. Quelle di questi giorni, con la morte di alcuni bambini e dei loro genitori per fame e sete, raccontano di una vera e propria tortura subita da vittime innocenti di situazioni insostenibili che costringono alla fuga dal proprio Paese: le guerre, i disastri ambientali, il terrorismo, la negazione di un futuro vivibile”.
“Sempre peggio - concludono da Sant’Egidio - perché i viaggi sono sempre più difficili e rischiosi, le rotte più lunghe e complicate per sperare di sopravvivere. Quella che impone ai migranti che partono dal Libano di puntare verso la lontanissima Italia, perché i confini europei più vicini a loro sono off limits, è inaccettabile”. “La modalità con cui sono morti questi bambini ha un tratto simbolico – afferma dal canto suo Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana -. Dà la dimensione di quello che sta accadendo: oggi, nel 2022, vedere nel Mediterraneo, alle porte dell’Europa, dei bambini che muoiono di sete e di stenti è qualcosa di insopportabile dal punto di vista emotivo e assurdo per l’assenza di risposte e diverse richieste di aiuto rimaste inascoltate”. Ultime a esprimersi, giusto ieri, le Acli: “Se i conflitti non si combattono solo con le armi ma con scelte politiche sbagliate, nel Mediterraneo è in corso una guerra subdola, silenziosa e senza munizioni che non offre riparo o sponda nemmeno ai bambini - dichiara Antonio Russo, vice presidente nazionale.
“Non meno deplorevole di tutte le altre guerre - aggiunge -, questa si consuma da decenni, ai confini dell’Europa nell’indifferenza senza scrupoli di governi che si rimbalzano persino la responsabilità di un salvataggio in mare. Ancora dei rifugiati, questa volta sei siriani, fra cui due bambini di uno e due anni, un adolescente e tre adulti”. Pure le Acli continuano a chiedere una ripresa del pattugliamento delle rotte marittime e del rafforzamento della ricerca e dei soccorsi, capaci di aiutare chiunque sia in difficoltà secondo il diritto internazionale. Nessuna vita, ancor più quella dei bambini, può essere interrotta per semplice indifferenza – continua Russo. – Secondo le Nazioni Unite, quest’anno più di 1.200 migranti sono morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. Persone che si aggiungono alle altre migliaia annegate nei precedenti anni. Ci chiediamo cosa è rimasto di una civiltà, che accetta la morte per sete e fame di neonati per paura di aprire i propri confini? Come per il teologo Bonhoeffer, siamo convinti che la cifra della civiltà e il senso morale di un popolo, si misuri anche dalla sua capacità di accogliere i bambini”.