Roma - In Israele, il paese allo stadio più avanzato della vaccinazione, sono già centinaia i pazienti di età compresa tra i 12 e i 16 anni che hanno ricevuto le prime dosi di Pfizer senza riscontrare effetti collaterali gravi: lo stato ebraico è così sicuro della sua efficacia, ed ha così tante dosi da parte, che per iniziare a somministrarlo a bambini e ragazzi non ha aspettato neanche i risultati della sperimentazione clinica che la casa farmaceutica Usa sta conducendo in questo momento sulle fasce 12-15 e 5-11 anni. Proprio ieri ha annunciato che da giugno sarà disponibile per la fascia d’età 12-15 anni Per arrivare all’immunità di gregge, infatti, prima o poi toccherà iniziare a vaccinare anche i più piccoli: per fortuna finora hanno patito molto degli adulti le complicazioni del Coronavirus, ma il rischio zero non esiste per nessuno, neanche per i minorenni.
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Alcuni Paesi si stanno organizzando per nuovi studi clinici coinvolgendo bambini e adolescenti, ovviamente con caratteristiche differenti. Johnson&Johnson non sta alla finestra e ha selezionato anche il Buzzi di Milano per le sperimentazioni sui neonati. Astrazeneca ha aveva avviato lo scorso febbraio (prima di sospenderlo in scia ai decessi “sospetti”) uno studio su 300 “volontari” tra 6 e 17 anni. La casa farmaceutica di Oxford vorrebbe scendere anche più in basso visto che il competitor Moderna da dicembre porta avanti un test su un campione di 6.750 bambini, che vanno da appena 6 mesi di vita a 11 anni. La fase 3, ultimo stadio del trial, è prevista a fine di giugno 2022. Poi occorreranno gli ok delle agenzie del farmaco.
Contando il pressing della concorrenza sui cervelloni dei laboratori di ricerca, è possibile tuttavia auspicare che già entro la fine dell’anno si possa allargare la campagna vaccinale agli adolescenti, mentre per i più piccoli se ne parlerà nel 2022. Un passo inevitabile per proteggerli e, al contempo, limitare la circolazione del virus a scuola e a casa, nelle famiglie. Non sono solo i “rigoristi” Andrea Crisanti e Massimo Galli a sostenerlo: “Senza la vaccinazione di questa fascia anagrafica - sostiene l’immunologo Enrico Bucci, professore associato alla Temple University di Philadelphia - stabiliremmo un azzardatissimo reservoir vitale e perpetuo del virus, che ci impedirà di eliminarlo per sempre dalla specie umana".