Proiezioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) candidano la depressione ad essere la prima causa di morbilità al mondo. Nell’arco della propria vita, infatti, si stima che ne soffra più di un uomo su dieci e fino a una donna su quattro. I dati epidemiologici italiani rivelano un fenomeno interessante rispetto al panorama europeo: la depressione sembrerebbe essere meno diffusa tra i giovani e gli adulti che hanno tra i 15 e i 44 anni, per essere invece maggiormente diffusa al crescere dell’età, in particolare dopo i 65 anni.
La depressione dell’anziano è diversa. «Il modo in cui la depressione si presenta varia sensibilmente a seconda dell’età di chi ne soffre. Nell’anziano si caratterizza per la più alta presenza di malessere fisico, rallentamento e sintomi cognitivi. Questo tipo di depressione sembra essere strettamente collegato all’infiammazione cronica di basso grado, da cui il termine anglosassone 'inflammaging', ad indicare lo stretto rapporto tra l’infiammazione e l’invecchiamento - afferma Marco Colizzi, professore aggregato di psichiatria Università di Udine - L’infiammazione cronica di basso grado ha delle conseguenze nel breve e lungo periodo. Provoca danni collaterali al sistema nervoso periferico e centrale, neuroinfiammazione, ai vasi sanguigni, ai muscoli e a organi come il pancreas, il cuore, i reni e il fegato. Rispetto alla depressione ad esordio precoce, la depressione ad esordio tardivo è stata associata ad una più elevata mortalità, causata dall'invecchiamento vascolare, che espone la persona che ne soffre anche ad un rischio maggiore di evoluzione verso quadri di decadimento cognitivo.
L’infiammazione è un processo biologico naturale con cui il sistema immunitario si attiva in risposta a lesioni, infezioni o altre minacce percepite. In sua assenza, non saremmo in grado di mantenere il nostro stato di salute. Uno dei più grandi obiettivi della moderna medicina è quello di far chiarezza sulle cause e conseguenze dell’infiammazione cronica di basso grado, quel processo che non dà i segnali tipici dell’infiammazione acuta o cronica e predispone l’organismo ad un elevato rischio di patologie (es. diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, obesità e cancro). L’infiammazione cronica mette a rischio anche la nostra salute mentale: altera la barriera emato-encefalica e consente il passaggio dell’infiammazione al sistema nervoso centrale, neuro infiammazione, con aumento del rischio di sviluppare disturbi neurologici come la depressione e il deterioramento cognitivo. Essa, infatti, può influenzare il cervello attraverso il rilascio di citochine, molecole che mediano la risposta immunitaria e che possono alterare la chimica cerebrale, in particolare la serotonina e la dopamina, neurotrasmettitori fondamentali per il benessere emotivo. In alcune persone con depressione non è infrequente il riscontro di alti livelli di marcatori infiammatori nel sangue, e si ritiene che questo possa spiegarela presenza di stanchezza, perdita di interesse e umore basso. Anche il disturbo bipolare e la schizofrenia mostrano correlazioni con l’infiammazione cronica.
Come evitarla? I consigli
«L’infiammazione cronica si può evitare o, quantomeno, ridurre. È spesso alimentata da cattivi stili di vita, inclusi una dieta eccessivamente ricca di zuccheri e grassi saturi, la sedentarietà e l’assenza di esercizio fisico, lo stress cronico e l’esposizione a sostanze tossiche quali inquinanti e fumo di sigaretta. Va sottolineato anche il ruolo del sonno: passiamo un terzo della nostra vita dormendo e durante il sonno vengono riparati i danni cellulari accumulati. Un sonno inadeguato non permette questo importante meccanismo di protezione ed aumenta il rischio di infiammazione», spiega il professor Colizzi. Secondo l’esperto «è fondamentale adottare uno stile di vita sano. Questo prevede almeno quattro strategie principali. L’attività fisica regolare, compreso anche il solo camminare, può ridurre i livelli di infiammazione nel corpo. La gestione dello stress è molto importante: tecniche di rilassamento come la meditazione e la respirazione profonda hanno dimostrato di essere efficaci nell’abbassare i livelli dei marcatori infiammatori. Un sonno di qualità è fondamentale per mantenere bassi i livelli di infiammazione. Ultima, ma non ultima, l’alimentazione gioca un ruolo essenziale: una dieta equilibrata, ricca di antiossidanti e grassi sani, come pesce ricco di omega-3, frutta, verdura fresca, noci e semi, aiuta contrastare l’infiammazione cronica». «Con queste conoscenze in mano, bisognerebbe ora concentrarsi sull’utilizzo di molecole efficaci e sicure che abbiano come target le cellule del sistema immune, nel contesto della neuro-infiammazione cronica di basso grado. In questo, un valido supporto lo offre anche l’integrazione di alimenti a fini medici speciali come la palmitoiletanolamideultramicronizzata, che consentono di incrementare il livello di molecole già presenti nel nostro organismo con proprietà antinfiammatorie e neuroprotettive. Controllare l’infiammazione periferica e centrale (neuroinfiammazione) può rappresentare una valida strategia di prevenzione di diverse malattie fisiche e mentali, spesso correlate tra loro, consentendo una vita soddisfacente anche quando si è avanti con gli anni ed invertendo la rotta che porta allo sviluppo di depressione», conclude il professor Colizzi.