Quel dolore fisso alla zona lombare. La cervicale che periodicamente si infiamma. Il collo che un po' scricchiolante lo è sempre. Siamo tutti un po' attorcigliati, in fondo. Tutti in cerca del rimedio giusto, dalle ore in piscina al pilates, dalla ginnastica posturale ai massaggi passando attraverso antifiammatori e creme. E poi bastava respirare. Provare per credere quanto miracoloso sia smettere di stare in apnea e imparare a usare il diaframma. Alzi la mano chi sa dove esattamente dove si trovi, questo muscolo così sensibile alle emozioni e ai nostri stati d'animo da contrarsi, ritrarsi, spostarsi a seconda di quello che ci succede nel corso della giornata e dell'esistenza intera. Già individuarlo è metà del lavoro e per riuscirci basta fare come si faceva da bambini: gonfiare la pancia quando si inspira, sgonfiarla fino a farla diventare cava quando si espira. Uno, due, dieci volte al giorno per tutti i giorni, ed eccovi sulla buona strada verso la guarigione.
Il respiro, in fondo, è prendere e lasciare la vita stessa, fa notare Daniele Raggi, dottore in Scienze motorie e in fisioterapia, un master in posturologia, docente universitario, soprattutto studioso del metodo Mezieres e ideatore di Pancafit, che cura sportivi, attori e cantanti ai massimi livelli nel mondo, oltre a migliaia di persone comuni. “Il primo atto della nostra vita, alla nascita, è prendere l'aria. L'ultimo atto è esalare l'ultimo respiro, lasciando andare tutto”. È quel che c'è nel mezzo a complicare la nostra postura, spiega: “Ogni emozione influenza il nostro modo di respirare. Quando ci spaventiamo o ci arrabbiamo, per esempio, tratteniamo il respiro. Così facendo non cambiamo le cose, e aggiungiamo sofferenza: il 90 per cento dei nostri dolori sono legati a blocchi respiratori e del diaframma".
Corpo anima e cervello, diceva Jovanotti e dicono tutti gli studiosi delle interconnessioni tra catene muscolari e catene emotive. “Se fossimo così bravi da imparare a lasciar fluire le cose, e insieme ad esse il nostro respiro, avremmo meno problemi, psichici e fisici” avvisa. Invece a poco a poco disimpariamo a respirare, acquisendo modalità sbagliate. Un atteggiamento che arriva da lontano, per l'esattezza dalle caverne avvisa Raggi: “Il nostro sistema limbico, che gestisce le emozioni, ha imparato milioni di anni fa a comunicare alla nostra corteccia cerebrale di scappare, attaccare o paralizzarsi di fronte a un'allerta”. Funziona così: quando c'è una provocazione, grande come una brutta arrabbiatura oppure piccola come quando qualcuno ci parla sottovoce e noi ci sforziamo di sentire quel che dice, il nostro respiro si blocca, e con esso il diaframma. “A lungo andare il diaframma scende sempre più in basso, modificando la propria posizione originale: schiaccia i visceri, non massaggia più lo stomaco, comprime il fegato e la vescica, non pompa più il sistema linfatico, si attacca alla zona lombare, costringe i muscoli cervicali a fare ciò che il daframma non fa più. Causando così non solo il mal di schiena, ma tante altre patologie, dall'incontinenza alla stasi venosa, dalle infiammazioni cervicali al reflusso gastroesofageo, dalla stanchezza cronica alla cefalea”. Il primo trauma arriva prestissimo. Per esempio quando una madre urla per far smettere di piangere il bambino piccolo, e interrompe col pianto anche il respiro, come se non fossero accettati, avvisa Patrizia Moselli, presidente della società italiana di analisi bioenergetica, la psicoterapia a mediazione corporea fondata in America negli anni Cinquanta da Alexander Lowen che ampliò i concetti del metodo Reich. Infatti, annota Moselli, “all'inibizione del respiro corrisponde di solito un'inibizione delle emozioni: bloccando il respiro noi pensiamo di poter controllare emozioni che non vogliamo far trasparire con gli altri, spesso anche con noi stessi”. Prova ne siano le tante emozioni che lasciamo andare quando facciamo il percorso al contrario, e cioè quando reimpariamo a respirare. “Noi terapeuti riusciamo a capire che tipologia di persona abbiamo davanti proprio osservandone il modo di respirare: attraverso il respiro capiamo quale sia l'atteggiamento psicosomatico”.
Dalla bioenergetica allo yoga il passo è breve, in questo ambito: “Creiamo una corazza che pensiamo ci proteggerà e che invece ha l'unico effetto di irrigidire la nostra muscolatura, causando dolore e spesso anche malformazioni della colonna” è anche il punto di vista di Antonietta Rozzi, presidente onoraria della Federazione italiana yoga, presidente di Sarva Yoga International, docente di Pedagogia e yoga alla facoltà di Scienze della Formazione di Bolzano, nel giugno scorso premiata dal primo ministro indiano Narendra Modi con lo Yoga Award 2019 per la promozione e lo sviluppo dello Yoga in Europa. “Può sembrare che tutto sia slegato, invece è fortissimo il legame tra respirazione e tensioni muscolari, perché i muscoli respiratori sono legati alla colonna vertebrale” spiega. E aggiunge: “Siamo tutti qui con il respiro corto, quello toracico tipico di ansia e paura, e non ci rendiamo conto che non è trattenendo il fiato, ma rallentando il ritmo del respiro che impareremo a gestire le nostre emozioni e a prevenire i dolori legati al rapporto tra diaframma e colonna vertebrale”.
A ben vedere basterebbe attingere dalla saggezza popolare: “lascia correre”, “respira a pieni polmoni”. Sembra facile ma come si fa? Raggi mette tutti sul suo pancafit che, ormai 22 anni fa, inventò proprio per curare se stesso dopo che una gravissima lussazione sacro-iliaca in poco tempo gli aveva bloccato la colonna vertebrale. Adesso il metodo Pancafit è noto in tutto il mondo, tanto da aver fruttato a Raggi nove cattedre accademiche dall'Italia agli Stati Uniti. Sulla panca, illustra, “le catene muscolari subiscono una lieve tensione, la postura si decompensa, il diaframma ricomincia a funzionare con effetti sorprendenti sulle catene emozionali, fino al basic di una questione emozionale oggi divenuta problema fisico”. In parole più semplici: “Chi si siede lì sopra vuota il sacco in modo inaspettato”, tanto che anche gli psicologi hanno iniziato ad andare a scuola da Raggi. Ripartire dal respiro per ricreare un contatto con sé è anche quello che fa l'analisi bioenergetica, che considera l'aria come il nutrimento del nostro metabolismo energetico. Non a caso, spiega Moselli, il primo esercizio suggerito è quello del “grounding”: piedi ben piantati a terra, perché solo se siamo ben saldi e radicati possiamo rispondere bene al nostro centro di gravità, respirare e affrontare la realtà”. È un concetto che viene da lontano, dalle arti marziali e dalla saggezza orientale, la stessa cui si richiama lo yoga. Che per sbloccare il respiro propone posizioni ad hoc che favoriscano il movimento del diaframma. Poiché quando nasciamo siamo perfettamente in grado di respirare correttamente, mentre dopo disimpariamo, Rozzi invita a far praticare lo yoga ai bambini: “Loro sono una finestra aperta sull'apprendimento, gli adulti invece devono destrutturare e ricostruire, un percorso più lungo e faticoso”. Il legame col corpo è tale che la psicoendocrinologia inserisce la respirazione tra i metodi per prevenire le malattie multifattoriali, perché in fondo, come dicono Raggi e Moelli: “Prendere l'aria è prendere la vita”. Una delibera dell'Organizzazione mondiale della Sanità inserisce lo yoga tra le terapie non convenzionali di supporto non farmacologico. Rozzi, che fa parte della commissione di 15 esperti che a livello mondiale divulgano questo tipo di cure di sostegno, sorride: “La medicina tradizionale ha finalmente aperto una porticina a queste nuove tecniche, che coinvolgono il paziente in prima persona e hanno un costo bassissimo per i governi, tanto che anche negli ospedali si inizia a sperimentarli: alle Molinette di Torino è la stessa casa farmaceutica Novartis a finanziare un esperimento di supporto alle cure oncologiche”. Che poi, nuove: in realtà sono tecniche antichissime. Quasi come il respiro.