Benessere Questione di colon

Sindrome dell'intestino irritabile: dieta ma non solo

L’approccio al colon irritabile deve essere integrato perché la sindrome è il risultato dell'interazione tra fisiologia intestinale e fattori piscologici

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La sindrome dell’intestino irritabile, nota anche come Ibs (dall’inglese Irritable Bowel Syndrome), è una delle condizioni più complesse trattate dai gastroenterologi. È un insieme di sintomi collegati tra loro, la cui causa non è ancora nota.

Sintomi e dieta Fodmap

Il primo «avvertimento» è il dolore addominale, almeno una volta a settimana negli ultimi tre mesi, associato a episodi di stitichezza o di diarrea e a tensione addominale, gonfiore, meteorismo. 

Un approccio terapeutico frequentemente adottato è la dieta a basso contenuto di IBs che limita i carboidrati fermentabili come lattosio, legumi, cipolle e grano (dieta Fodmap). 

In uno studio da poco pubblicato su The Lancet Gastroenterology & Hepatology, ricercatori hanno messo a confronto, coinvolgendo circa 300 donne e uomini affetti da Ibs da moderata a grave, questo tipo di dieta con una a basso contenuto di carboidrati. Dopo quattro settimane, tra coloro che hanno seguito la Fodmap il 76% ha avuto una riduzione significativa dei sintomi, contro il 71% dell’altro gruppo. I benefici sono rimasti anche a sei mesi dall’inizio dello studio, nonostante un parziale ritorno alle abitudini alimentari precedenti.

«La dieta è importante, ma è da considerare un punto di arrivo, non un punto di partenza, perché cura i sintomi, non la causa», chiarisce Antonio Gasbarrini, professore ordinario di Medicina interna all’università Cattolica e direttore del Cemad, Centro malattie apparato digerente del Policlinico Gemelli di Roma. 

«Per questo, a fronte delle scoperte degli ultimi 20 anni, a partire dal ruolo del microbiota intestinale e del suo dialogo con il cervello l’approccio alla diagnosi di Ibs è cambiato ed è diventato di tipo biopsicosociale. Questo modello considera l’Ibs come il risultato dell’interazione tra fisiologia intestinale e fattori psicosociali. Il medico dovrà quindi agire su due fronti. Da una parte dovrà prescrivere indagini di laboratorio per escludere la presenza di malattie che possono essere scambiate per Ibs, come la celiachia, la calcolosi della colecisti, la pancreatite biliare e la malattia diverticolare. Tra gli esami più comuni: la sierologia per la celiachia o la calprotectina fecale e la proteina C reattiva o, nei casi più complessi, la colonscopia. Però lo specialista dovrà trasformarsi anche in psicoterapeuta e comprendere che cosa è successo nella vita della persona — dai rapporti con i genitori al momento che sta vivendo — che può aver alterato l’equilibrio che caratterizza l’apparato digerente. Spesso chi soffre di Ibs è una persona in quel momento ansiosa o depressa e a volte è sufficiente identificare questo aspetto per risolvere i sintomi, oppure vive un momento di stress e in questa condizione si scatena un'infiammazione intestinale che determina una riduzione del riassorbimento del gas e quindi la manifestazione di uno dei co-sintomi di Ibs. Si stima che nell’apparato digerente si producano ogni giorno 20-25 litri di gas tramite biofermentazione che, in una persona sana, vengono riassorbiti ed espulsi principalmente attraverso la respirazione», precisa Gasbarrini.

«Solo dopo aver escluso tutte le malattie con i sintomi sovrapponibili e le possibili cause psicologiche si formula la diagnosi di Ibs. A questo punto entra in gioco, sotto controllo medico, l’indicazione di una possibile dieta personalizzata sul consumo di carboidrati e di cibi fermentabili, che lavorerà su infiammazione e produzione di gas migliorando la qualità della vita», conclude l’esperto.

Focus microbiota

L’apparato digerente è detto «secondo cervello» perché i suoi 400 milioni di neuroni dialogano con quelli del cervello, che ne ha 75 miliardi. «Nel “secondo cervello” vive il microbiota, quella comunità di batteri, funghi e virus che educa il nostro sistema immunitario, ha un ruolo per il metabolismo e produce neurotrasmettitori», spiega Gasbarrini.

«Oggi, in via di sperimentazione, si sta provando la strada de trapianto di microbiota da un donatore sano a un paziente, al fine di ristabilire l’equilibrio della flora intestinale. Nel caso di IBS ci vorrebbero “super donatori”, perché la biomassa dovrebbe avere specifici batteri, quelli che ci permettono di mangiare pasta, frutta e verdura, “spacchettando” i carboidrati complessi, rendendoli assorbibili ed eliminando le scorie. Non è escluso che in futuro si riusciranno a produrre biomasse specifiche in laboratorio». 


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