Palermo - «Io credo in ciò che sono e non ho un minimo di colpa». È con queste parole che Asia, la ragazza 19enne violentata da un gruppo di sette giovani la notte tra il 6 e il 7 luglio a Palermo, ha motivato la decisione di metterci la faccia e di raccontare tutto in una intervista di quasi mezz’ora durante il programma Avanti Popolo (in onda in prima serata su Rai3) condotto da Nunzia De Girolamo, la giornalista ex ministra delle Politiche agricole.
Il racconto della giovane vittima parte dall’infanzia: «Ho avuto un papà violento», ammette rispondendo alla domande della conduttrice, davanti alle telecamere che la inquadrano all’interno dello studio televisivo. Un genitore con cui è rimasta fino a quando aveva all’incirca tre anni. «Poi sono andata via insieme a mia madre». Una donna che è stata il punto di riferimento principale di Asia fino al momento in cui è morta – quando la ragazza aveva 14 anni – dopo una malattia (la sclerosi multipla) che l’aveva lasciata a letto paralizzata. Rimasta sola, la ragazza viene affidata a una comunità. Poi prova la convivenza con un ragazzo; i genitori di lui, però, non sono d’accordo, e così la relazione si interrompe e lei passa un’intera notte in piazza Indipendenza a Palermo.
Una vita complicata sin dall’infanzia costellata di abbandoni. «Passo degli alti e bassi – risponde la ragazza – La notte non dormo come prima, la sera arrivano i momenti in cui i pensieri risalgono di più in mente e piango». Davanti alle telecamere, invece, resta con lo sguardo alto senza piangere anche se spesso la voce tradisce l’emozione. Dopo la violenza di gruppo, la denuncia e le minacce che ne sono seguite, Asia ha dovuto lasciare la sua città d’origine. «I social mi stanno ammazzando – dice senza giri di parole – Ci sono persone che online mi colpiscono in pieno quando mi sento più debole». Parole degli haters che l’hanno ferita al punto di arrivare vicina a gesti estremi: «Ho provato anche a farla finita – ammette – mentre ero nella seconda comunità in cui mi hanno mandata». L’intervista passa poi alla notte dello stupro di gruppo avvenuto in un cantiere abbandonato al Foro Italico del capoluogo siciliano. Una serata iniziata alla Vucciria insieme a un’amica con cui era uscita. È nella zona della movida che Asia incontra Angelo Flores e i suoi amici. «Io ero ossessionata da lui, ero innamorata – confida la giovane – ma per lui ero un gioco». Una consapevolezza che arriva dopo quella notte. «Mi ero legata, si dimostrava dolce. E mi fidavo: per la prima volta, con lui, al mare ero riuscita ad andare nell’acqua alta. Gli avevo raccontato anche tutta la mia vita. Lui – continua la ragazza – diceva che non mi avrebbe mai fatto del male e che non mi avrebbe mai abbandonata. Quando pioveva, mi copriva». Parole d’affetto e gesti di protezione che da quella sera scompaiono lasciando posto a violenza e risate.
Nelle fasi dello stupro, Flores è quello che riprende la scena con il suo cellulare. «Ricordo la torcia puntata addosso – ricostruisce la vittima – Era tutto un insieme di persone, un incubo. Mi hanno presa per la testa ed erano violenti. Ricordo soprattutto i dolori». Dalle indagini è emerso che lei chiedeva aiuto continuando a urlare: «Basta! Smettetela!». Loro invece la spogliano e abusano di lei. «Angelo rideva». E avrebbe continuato a ridere anche quando la ragazza gli ha chiesto di chiamare l’ambulanza assicurando che non avrebbe raccontato niente a nessuno. Loro scappano e vanno a mangiare come se nulla fosse accaduto. Lei viene soccorsa da due donne che passano per quella strada di Palermo. «Abbiamo fatto un macello. Ci siamo divertiti, siamo stati un quarto d’ora e lei si è sentita male, è svenuta più di una volta», scrive il ragazzo che all’epoca era ancora minorenne a un amico. «Però, così, è brutto», gli risponde l’amico. «Troppo forte, invece!», ribatte lui ridendo. Anche Angelo Flores, l’indomani, scrive dei messaggi a un amico per commentare quanto accaduto: «Ieri sera, se ci penso, un po’ mi viene lo schifo perché eravamo cento cani sopra una gatta, ti giuro compà. Eravamo troppi. Sinceramente, mi sono schifato un poco. Ma, però, che dovevo fare? La carne è carne». Una frase che ha dato vita all’iniziativa sui social lanciata dalla vittima con l’hashtag #Iononsonocarne. Gli stessi social su cui, la ragazza violentata, è diventata vittima una seconda volta con offese, ingiurie, minacce e giudizi che tendono ad assolvere gli stupratori cercando di colpevolizzare la vittima. Lei, però, intanto, prova a guardare al futuro: «Vorrei un lavoro e iniziare a studiare Psicologia all’università proprio dopo quello che mi è successo. Mi piacerebbe vivere a Milano. La cosa che mi manca più di tutte – conclude – è avere qualcuno che quando piango, mi abbracci».