Ragusa - Ferie annullate per forestali, pompieri e volontari della Protezione civile richiamati dalle vacanze; polizia, finanza e carabinieri strappati alle loro indagini per dare una mano a spegnere fiamme e polemiche; il premier Draghi che invia canadair in aiuto dalle altre regioni. Il weekend di fuoco ha risparmiato il sudest dell’Isola, Ragusano incluso, cingendolo però d’assedio e bruciando tutto il resto: i roghi sono arrivati alle porte di Catania ed Enna, quest’ultima ormai da giorni: la vediamo nei primi due video allegato,gli ultimi girati ancora ieri pomeriggio sui luoghi del disastro. Colpite anche le province di Palermo e Messina, nel terzo video, dove il fumo è arrivato sull’autostrada.
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Oggi è prevista un’altra giornata campale, con le previsioni del tempo che danno le temperature sempre molto elevate. Ma vento e calore sono gli ultimi responsabili dell’inferno divampato in Sicilia e da soli non bastano a spiegarlo. Il caldo non appicca il fuoco, viene dopo: è la benzina che infiamma e alimenta quella già versata da mani umane. Quello degli incendi estivi in Sicilia è un problema annoso, sconosciuto in gran parte dell’Italia. La totalità delle aree del Paese percorse ogni anno dal fuoco è concentrata nelle 5 regioni del Sud, che ne raccolgono il 98% del totale nazionale. Tra queste il primato è della Sicilia, con 511 criminal focus area perimetrale - zone cioè in cui può avere avuto un ruolo la criminalità - per una superficie di circa 6.000 ettari complessivi.
Dolo della malavita organizzata dunque, probabilmente anche speculazione edilizia, allevatori, forestali precari. Ammettiamo pure che, in qualche caso, abbia innescato il rogo la distrazione di un cittadino o qualche "delinquente che si diverte" come suggerisce Musumeci. Ma il vero terzo ingrediente del cocktail esplosivo è l’abbandono del territorio. Non è un caso che nelle stesse 5 regioni meridionali si concentri quasi il 60% delle zone con rischi ambientali di tutta Italia (e relativi reati) quali presenza di rifiuti, movimenti terra, invasi ricoperti, scassi o cave riempiti con liquami. In questo caso sempre la Sicilia ne conta 315 per una superficie complessiva di 417 ettari.
E’ di questa colpevole ignavia che fanno parte i ritardi del piano regionale di prevenzione incendi, partito solo a giugno. Ma dietro gli incendi spunta anche l'ombra del business del fotovoltaico, che pagherebbe fino a 30mila euro l’ettaro i proprietari terrieri che cedono i loro campi a chi vuole realizzarci filari di pannelli solari anziché d’uva. Lo sospettano la commissione regionale Antimafia, Coldiretti e l'assessore al Territorio Toto Cordaro: “C'è un piano criminale".