Alba Adriatica, Teramo - Nell’inchiesta che punta a fare chiarezza su eventuali ritardi nei primi soccorsi istituzionali alla 42enne Pamela Di Lorenzo, la barista morta dieci giorni dopo essere stata colpita da un fulmine mentre si trovava in spiaggia ad Alba Adriatica, la procura ha appena affidato una consulenza sul defibrillatore semiautomatico usato per tentare la rianimazione e poi sequestrato. Dalla piccola scatola nera contenuta in quell’apparecchio, che dal momento in cui viene acceso registra anche tutti i rumori ambientali, sarà infatti possibile sapere cos’è accaduto con esattezza in quei momenti concitati quando secondo i familiari della donna sarebbero trascorsi circa 30 minuti dall’arrivo dei sanitari sul posto con l’ambulanza rispetto alla prima chiamata di soccorso.
Un ritardo, com’è stato denunciato in un esposto presentato dal compagno della 42enne, che potrebbe aver compromesso le funzioni vitali oltre al fatto che non c’era la disponibilità del defibrillatore, la cui postazione in quel momento era stata spostata per i lavori sul lungomare. L’apparecchio semiautomatico che è stato poi utilizzato prima da un turista, poi da un infermiere si trovava in un altro posto, a circa 500 metri di distanza dalla donna. Tutto è successo lungo la battigia mentre Pamela e un’amica stavano passeggiando nel tratto di spiaggia libera tra il Piccolo Chalet e i Caraibi. Il fulmine arrivato in una giornata senza pioggia ha colpito entrambe e poi anche una terza donna, ma la 42enne, andata subito in arresto cardiaco, è deceduta dopo 10 giorni.
Di lei non resta solo un grande ricordo, ma anche l’ultimo gesto di generosità: la donazione dei suoi organi che ha permesso di salvare la vita di sette persone da tempo in lista d’attesa. L’autopsia disposta dalla procura (pm Enrica Medori) ha accertato che quell’arresto cardiaco provocato dalla scarica elettrica del fulmine ha causato una mancanza di ossigeno al cervello con danni irreparabili.