La Sicilia ha una voce, da sempre parla al cuore di chi vuole ascoltarla con melodie antiche e anonime.
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Pare che Bellini conoscesse questo linguaggio e spesso vi attingesse o gli desse più forza con le sue arie.
Io non so se alcune splendide canzoni che cantava mia madre, nata nei primi anni del Novecento, magistralmente accompagnata alla chitarra dai suoi fratelli che furono degli autentici virtuosi, siano così antiche.
Tuttavia facendo qualche conto della serva alcuni componimenti del suo repertorio non potevano essere recenti come qualche storico della canzone vorrebbe far credere.
La mia famiglia vanta un vecchio e complicato compromesso con la musica.
Peppino Borrometi, geniale musicista, figlio del celebre compositore Maestro Federico Borrometi, fece sicuramente da felice tramite.
Peppino aveva sposato la sorella di mia nonna materna e considerava mia madre e i miei zii alla stregua di figli.
Per loro arrangiava i pezzi più belli, molti erano suoi altri del padre, tra cui magnifiche serenate che squarciarono il silenzio solenne dei chiari di luna delle estati sciclitane fra le due Guerre.
Gli zii chitarristi accompagnavano spesso le sorelle che si sfidavano cantando le arie più in voga con voci di soprano e mezzo soprano, pur non avendo mai studiato canto in un conservatorio.
Quando ero già un ragazzo, come regalo di compleanno, mia madre mi fece trovare a casa una chitarra. Mio zio l’aveva comprata per me. In un quaderno lui stesso mi segnò i primi rudimentali accordi, insegnandomi il modo come trovarli sulla tastiera dello strumento.
Fui un discepolo mediocre, purtroppo. A mia madre però bastava sentire il suono della chitarra. Eseguiva per i vicini, nelle notti d’estate durante la villeggiatura negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, i brani che più amava alla luce fioca di un lume a petrolio nella nostra casa di campagna dove ancora non aveva fatto irruzione la corrente elettrica con il suo bagaglio di modernità.
In questi giorni, spinto da un’inspiegabile nostalgia, ho ripreso in mano una vecchia agenda dove segnavo le parole di alcuni canti e, a volte, anche gli accordi.
Tutto un mondo di colpo risuscitava nella mia mente per un miracolo operato da fogli ingialliti sui quali avevo annotato vecchi ricordi.
Una canzone e i suoi accordi in “re minore” dal titolo “Mi votu e mi girìu”; un’altra, senz’alcuna annotazione, dal titolo “L’amanti miu”.
La prima era un suo cavallo di battaglia. La cantava in un’antica versione che forse doveva essere l’originale e rispondeva ai canoni di una serenata.
“Mi votu” recentemente è stata portata al successo da Rosa Balistreri con il titolo “Mi votu e mi rivotu”. Mia madre apprezzava la sua interpretazione, anche se non condivideva parte del testo della prima strofa.
L’altra la cantava invece una sorella di lei molto più anziana.
Due canzoni che hanno accompagnato la storia della Sicilia.
La prima verosimilmente dalla prima decade dell’Ottocento e la seconda, in epoca già unitaria, dall’introduzione della leva obbligatoria.
Entrambe le composizioni cantano lo strazio di un amore.
In “Mi votu e mi girìu” l’impotenza di un abbandono e il dolore di una perdita solo nella morte potranno trovare consolazione e pace, così canta l’innamorato alla sua amata.
“L’amanti miu”, più che una serenata è un lamento nel quale l’amata grida al mondo il dolore della perdita che si trasforma col tempo in rassegnazione struggente e consapevole timore di un addio definitivo.
Ripropongo qui i loro testi, sperando che il tempo e la memoria degli uomini li conservino.
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Mi vuotu e mi girìu
(versione antica di mia madre)
Mi vuotu e mi girìu ogni mumentu
Tutti li peni miei sfocunu a chiantu,
paci nun haju no, nun haju abbientu,
e li biddizzi tuoi vaju contimplannu.
Pi tia nun puozzu ora ripusari
paci nun havi chiuj st’affrittu cori
lu sai quannu ca ju t’aju a lassari?
Quannu la vita mia finiscia e mori.
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L’amanti miu
(versione antica di mia zia)
Pàrtunu tutti e partìu l’amanti miu
a mìa sula sulidda mi lassàu.
Nun mi rissa né banjornu
e mancu addìu
mancu a li santi m’arraccumannàu.
O sa iddu
pi quali strati ca pigghjàu
e quali terra ca lu ruparàu,
nuddu lu ciancia cuomu lu cianciu ju
mancu sa matri ca lu nutricàu.
Pàrtunu tutti e partiu l’amanti miu
nun saccju se arritorna
o mi scurdàu.
(Quest’ultima strofa è stata aggiunta da mia madre ricordando la fine della canzone.)
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