Ragusa - È morto oggi il fotografo Giuseppe Leone.
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Appena ieri era stata inaugurata la sua ennesima mostra, sul mondo contadino, ospitata all’interno del museo di Palazzo Zacco, a Ragusa. Leone, proprio per motivi di salute, non ha potuto partecipare. Nato a Ragusa il 24 dicembre 1936, Leone era noto soprattutto per aver raccontato i paesaggi e i costumi della Sicilia dagli anni 50 ai giorni nostri. Ha pubblicato oltre 50 volumi con vari editori come Sellerio, ERI, Electa, Bompiani, e realizzato mostre in Italia e all’estero. Figlio dell’organista della cattedrale di Ragusa, ad appena sei anni comincia a seguire il padre quando si celebrano i matrimoni. Nella grande chiesa barocca resta affascinato da quegli spettacoli straordinari. Il padre avrebbe voluto che anche lui facesse l’organista, ma ivedendo all’opera il fotografo Antoci proprio durante una cerimonia nuziale, gli chiede se può andare da lui a bottega. Comincia così, a 14 anni entra per la prima volta in una camera oscura. Quell’anno, il 1952, scatta già una delle sue fotografie più famose: il treno con la locomotiva a vapore che transita sul ponte sul torrente San Leonardo con Ragusa Ibla sullo sfondo. A 21 anni, acquistata la prima macchina fotografica a soffietto apre il suo studio dedicato soprattutto alla foto dei matrimoni ma, al tempo stesso, continua un lavoro personale di testimonianza, di scavo, di indagine, al limite della vivisezione, del paesaggio siciliano che da allora non si era più interrotto.
Noto soprattutto per aver raccontato i paesaggi e i costumi della Sicilia dagli anni 50 ad oggi, ha pubblicato oltre 50 volumi. Prediligeva il bianco e nero perché ‹‹il bianco e nero è l’interpretazione della natura e delle sue trasformazioni, il colpo d’occhio che scarica da ogni orpello un’immagine per dare senso a quello che è l’essenza di ciò che vedi››, ma i suoi scatti in cibachrome di contesti costieri ricordano i colori del suo amico Piero Guccione e quelli che immortalano la vita quotidiana ricordano la poetica di Renato Guttuso.
L’incontro all’inizio degli anni Settanta con l’antropologo Antonino Uccello che aveva appena inaugurato la sua Casa-Museo a Palazzolo Acreide lo spinse con maggiore decisione verso la fotografia antropologica, quella che indaga costumi, ma anche il duro lavoro, le condizioni sociali della Sicilia interna.
Per Leone il paesaggio non è il fondale inerme delle azioni degli uomini, ma è un elemento vivo che con essi interagisce modificandoli ed essendone modificato. Nei quasi settanta anni di attività Leone testimonia una transizione a volte lenta, a volte improvvisa del paesaggio agrario siciliano verso un nuovo assetto in cui sembra perdersi il filo che per millenni aveva legato gli uomini alla terra. Analogamente testimonia la grandezza della civiltà urbana siciliana e delle architetture, dalle più imponenti alle più umili determinando, tra l’altro, la scoperta del liberty minore del ragusano e dell’architettura rurale degli Iblei. Amico personale di Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo e Gesualdo Bufalino è l’unico non scrittore sempre invitato nella casa di campagna dello scrittore di Racalmuto quando si tengono gli incontri tra i tre intellettuali testimoniati con alcuni dei suoi scatti più famosi pubblicati in tutto il mondo. È proprio Sciascia che lo introduce nella editoria che conta: nel 1983 pubblica per Electa “La contea di Modica” con testo dello stesso scrittore di Racalmuto e “Piazza Armerina medievale” con testo di Ignazio Nigrelli. Al contrario di tanti altri grandi fotografici siciliani suoi contemporanei, decide di non lasciare la sua Ragusa dove continua a tenere il suo studio. Per questa sua ostinazione a rimanere in Sicilia è stato indicato come un "siciliano di scoglio".