Scicli - Ieri sera, a Palazzo Spadaro, con la sala piena di un pubblico di amatori del dialetto per la presentazione del libro del Prof. Giuseppe Nifosì, è stato toccato il “cuore” della ricerca, condotta dal professore per circa quarant’anni.
L’argomento, presentato nel libro, il III Tomo del suo studio sul nostro dialetto degli Iblei, era quello che parlava della “Persona, della casa e degli affetti” di quanti nostri genitori, avi e antenati hanno vissuto nella nostra terra. Un tema che, partendo dal linguaggio dialettale: per proverbi, da noi chiamati “detti” e modi di dire e da tutto un parlare per immagini: similitudini, metafore, antifrasi, paradossi e altre figure retoriche, e per racconti esemplari, risaliva alle radici antropologiche, etnologiche, culturali (filosofiche, religiose), morali, attitudinali della gente della nostra terra, di quanti per duemila e cinquecento anni hanno vissuto in questo estremo lembo della Sicilia iblea, con tradizioni culturali e antropologiche greche, latine ed ebraico-cristiane, innanzitutto; espressione, in tempi antichi, della colonizzazione greca, latina e dell’acculturazione ecclesiastica della Chiesa. Tutto questo sulla base della miriadi di frammenti, espressioni di linguaggio (circa diecimila), assemblati dal Professore Nifosì su tutto quanto il linguaggio parlato dalle persone anziane di Scicli, contattate in tutti questi anni (più di un centinaio) ed organizzato, strutturato per piccole tematiche e grandi temi. Dice il Professore che oggi una ricerca del genere non sarebbe più possibile farla ad alcuno, nemmeno a lui, in quanto proprio in questi quarant’anni, da un lato, è scomparsa tutta la generazione dei parlanti (il dialetto), nata nel primo Novecento, dall’altro, la nuova società dalla globalizzazione ha spazzato via, non solo i dialetti, ma anche il cuore delle lingue nazionali, della nostra lingua, per quanto ci riguarda come italiani.
Il titolo del volume presentato è stato: “ Cc’è unu cchjù ri n-àutru”, un nostro modo di dire, che tradotto in italiano, alla lettera, vuol dire: “C’è un individuo, una persona più di un altro”, ma, nella metafora: “Ciascun individuo è diverso dall’altro”, ciascun individuo è unico nella sua personalità, temperamento, carattere, nel suo modo di agire e di operare; e sempre, sott’intende il detto degli antichi: “va rispettato per quello che è; nel contesto sociale è uguale, ha parità di rispetto e di essere tenuto in conto alla pari di tutti gli altri". Un detto meraviglioso della grande civiltà della nostra terra, che le fa onore e che fa a pugni con l’ (in)civiltà di oggi della massificazione globale della società plutocratica, che annulla e omologa tutte le individualità, le personalità, nessuna esclusa, specie quella delle masse dipendenti dai media e dai social. Come corollari il detto aveva: “Ogni criatura a sa natura”, “Pani e figghj si-nni fanu cientu assimigghi”, “Ogni lignu ci-à u sa fumu”.
Partendo da questo leitmotiv, il volume del Prof. Nifosì, terzo tomo (di 360 pagine) - di una ricerca, condotta per quarant’anni, e strutturata in quattro Tomi: 1°): le Radici bibliche e classiche; 2°) la civiltà materiale e la società civile e sociale; 3°) tomo, quello presentato e 4°) tomo sul tema del linguaggio e della comunicazione interpersonale – nella trattazione che ne hanno fatto i Proff. Franco Causarano, moderatore e Direttore del Giornale di Scicli, Giosetta Militello e Giuseppe Pitrolo (dandone ampio, variegato, approfondito valore culturale-storico: patrimonio dell’umanità), ha ampiamente toccato i temi della Persona, con circa una cinquantina di detti e modi di dire sulle due età della persona degli Iblei: come sono state vissute e come è stata lette, nella nostra terra, la giovinezza o “giumintù” e la vecchiaia o “vicchjana”, il vigore fisico e lavorativo del giovane e la fiacchezza e saggezza del vecchio, al quale si doveva il massimo rispetto.
Stesso e più ampio discorso, quello dei modi di dire che hanno qualificato da noi i singoli individui, il testo del Professore riporta, spiega e commenta più di cento, centoventi detti e modi di dire che dicono del singolo individuo e delle migliaia di persone. Detti e modi di dire che hanno come significante, cioè a dire formulazione descrittiva, le varie parti del corpo (dalla testa, allo stomaco, dalla bocca, agli occhi, alle mani) o i vari animali o gli oggetti più strani del lavoro casalingo o dei campi, e come significato metaforico, caratteristiche morali, umorali, fisiche di quel determinato individuo; o le qualità, doti, diciamo, intellettive, morali, attitudinali dello stesso (due esempi riguardo all’intelligenza: della testa vuota“ ( Chiddu ) cci-à na testa ca, / se nun ci muca, / cci nescia nu bbddu scutiddaru!”, e della persona intelligente: ( Chiddu ) ci-à a testa scavigghjata!), riguardo al lavoro: (Chiddu) travagghja u turrinu cuomu na rasta i basilicò” o, al contrario: “ E’ bbili (vile, cioè scansafatiche) cuomu e cutiddati rati o scuru”; è tuortu, inaffidabile ( antifrasticamente parlando): “E’ rittu cuomu na faviçi r’uoriu”. E, poi detti: sul “cuore” (circa 20), sugli “occhi” (30), sulla “mani” (altri trenta, circa) sull’ “anima”, sulla “coscienza”.
Sempre sulla persona, la casa e la famiglia il Professore ha riportato detti sui figli (dalla gravidanza a quando sono grandi) (una cinquantina), sul fidanzamento, sull’amore, sul matrimonio (altri 40, 50), sui parenti e gli amici; sulla casa come focolare domestico ( “A ta casa ti strinçia e ti vasa”, “U liettu minta affiettu”), sulla donna, “ supra e fimmini” (una ventina). Quindi detti e modi di dire sulla “malattia” e sulla “morte”. In tutto i detti e modi di dire, riportati, commentati e organizzati per singole tematiche, saranno stati un migliaio.
Il professore Nifosì prevede, nel corso dell’anno, una o più, prossime pubblicazioni degli altri tre Tomi della ricerca.