Modica - Alla morte di Carlo II, re di Spagna, in assenza di una legittima discendenza, si aprì la Successione spagnola.
Nonostante il re fosse ancora vivo, per la sua malferma salute e gli handicap di cui era latore, i vari interessati si erano posti il problema.
Da tempo il re di Francia Luigi XIV, zio e cognato di Carlo II, l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo, anche questi, un Asburgo, parente stretto e cognato del re, il principe Elettore di Baviera, Massimiliano II per il figlio Ferdinando ancora in minore età, e Amedeo di Savoia, accampando una lontana discendenza da Filippo II, si erano preoccupati della sede vacante.
Ciò che l’Europa temeva tuttavia era la nascita di una superpotenza francese che avrebbe compreso oltre alla Francia anche i territori della penisola iberica.
A paventare questa eventualità era proprio il re del Portogallo, Giovanni V di Braganza, il cui regno sarebbe stato inevitabilmente schiacciato. Giovanni V si alleò pertanto con una coalizione di Stati europei che comprendeva anche l’Inghilterra (aggregatasi in un secondo momento) e a capo della quale erano l’Imperatore Leopoldo I d’Asburgo e l’Arciduca d’Austria Carlo, il suo secondogenito.
Motivo del contendere era una clausola penalizzante apposta nel contratto matrimoniale della sorella di Carlo II, andata sposa a Luigi XIV, secondo la quale la principessa avrebbe rinunciato col matrimonio al trono di Spagna.
Questa clausola precludeva in via definitiva ogni pretesa francese.
Luigi XIV si adoperò in tutti i modi per convincere il cognato/nipote a ignorarla. Aveva piazzato all’interno della corte spagnola a Madrid uomini di sua grande fiducia col compito neppure tanto celato d’influenzare la politica e il pensiero di Carlo II, che tutto era tranne stupido come fino a poco tempo fa la storiografia ufficiale amava descriverlo.
L’uomo di punta del Re Sole era il cardinale Portocarrero, un personaggio estremamente intrigante e ambiguo che risolverà a modo suo, non senza destare perplessità e sospetti, il problema della Successione al trono di Spagna facendo dettare al povero Carlo II un testamento da molti, a ragione, ritenuto invece opera sua.
La Corte spagnola era dilaniata da fazioni accanitissime che apertamente facevano il tifo per il pretendente francese, il figlio del Duca d’Angiò, Filippo, o per Carlo, il figlio dell’imperatore Leopoldo.
Tra i partitari del secondo forse il più qualificato e temibile era proprio l’Almirante di Castiglia e Conte di Modica, Juan Tomás Enríquez de Cabrera.
Morto il povero Carlo II il primo novembre 1700, fu pubblicato il testamento. In esso il Re nominava suo successore Filippo d’Angiò, il nipote di Luigi XIV, con la raccomandazione però di mantenere ben distinto il Regno di Spagna dall’altro di Francia.
Alla fine Carlo II, aveva ceduto (o così vogliamo pensare) alle pressioni del cognato francese, modificando in parte la clausola apposta al contratto matrimoniale della sorella.
Apprese le ultime volontà del defunto, la Corte spagnola si preparò ad accogliere il figlio del Delfino di Francia.
Non tutta la corte, però.
Una parte, fedele alla soluzione austriaca per il trono di Spagna, procurava seri problemi all’eletto, promettendo battaglia.
S’inquadrava pertanto nel desiderio di epurare gli uomini non affidabili, soprattutto all’interno della Corte e con carichi di governo importanti, il provvedimento per il quale l’Almirante di Castiglia e Conte di Modica era “per i suoi alti meriti riconosciuti” preposto come ambasciatore della Corona spagnola a Parigi.
Una mossa astuta, sicuramente suggerita da Luigi XIV in persona, che allontanava da Madrid il nemico più dichiarato del figlio del Delfino di Francia, nello stile “promoveatur ut amoveatur”, neutralizzandolo e ponendolo sotto la vigile sorveglianza dello spionaggio francese.
L’Almirante capì le intenzioni che avevano motivato il giovanissimo Filippo V a destinarlo a quell’alto incarico e soprattutto intuì i disegni del re di Francia che aveva suggerito quella nomina.
Appresa la notizia con suo profondo rammarico, Juan Tomás finse di stare al gioco in un primo momento, per non essere disturbato dalla polizia nella sua partenza dalla Capitale. Pianificò però scrupolosamente la fuga sua e di tutto il suo seguito verso Lisbona.
Da documenti compresi in un fondo segreto, ho potuto ricostruire attraverso un carteggio intrattenuto tra Don Francisco Pinel y Monroy, Generale dell’Artiglieria, Cavaliere dell’Ordine di Santiago, Governatore e Soprintendente delle Porte Reali della città di Zamora e il neo eletto vescovo di Siviglia, Don Manuel Arias, la fuga dell’Almirante da Medina de Ríoseco verso il Portogallo.
È un carteggio importante dal quale ho estratto la lettera che qui trascrivo e pubblico.
Il Conte di Modica era partito da Madrid con un salvacondotto firmato dal nuovo Re, Filippo V, e dalla Regina vedova governatrice.
Il decreto che autorizzava la sua partenza con destinazione l’ambasciata spagnola a Parigi è del 12 settembre 1702. È firmato “Yo la Reyna por mandado del Rey” e da don Francisco Nicolás De Castro.
“Saben que por decreto señalado de mi Real mano he tenido por bien de dar licencia (como por la presente la conzedo) al Almirante de Castilla que ba a egerzer la Embajada de Francia para que pueda extraer de estos Reynos en 38 carromatos, una galera y diferentes caxones y cofres que llevan, diez tapicerias y colgaduras, 22 arcas de agua y vino, 200 pinturas, su ropa y vestidos que ban con él y la plata labrada de su servicio y asì os mando.”
L’Almirante stipava in trentotto carri e in una galera un numero imprecisato di casse nelle quali aveva imballato dieci tappeti e tendaggi, ventidue recipienti di acqua e di vino, 200 quadri, effetti personali e vestiti, argenteria.
Juan Tomás, dopo una sosta a Medina de Ríoseco, arrivò a Miranda, invertendo il suo viaggio verso Vitoria, intorno alle tre del pomeriggio del 22 settembre 1702. La gente del luogo guardando l’immensa carovana somigliante più a un battaglione di soldati che a un trasloco compiuto da gente raccogliticcia cominciò a impaurirsi e ad armarsi. Avendo appreso dei timori delle popolazioni locali, l’Almirante inviò un servo per tranquillizzare la gente.
Nonostante tutto, arrivato alle porte della città, fu accolto dai reggenti che lo invitarono a scendere da cavallo per accompagnarlo a piedi fino alla Sala delle Udienze, dove dormì.
Era stato perquisito prima e controllato tutto il suo seguito. Le autorità cittadine lo avevano costretto ad abbandonare le armi fuori della città.
Verso mezzanotte l’Almirante fu svegliato da un messaggero che portava notizie da Madrid. Un altro messaggero arrivò due ore più tardi con altre notizie dalla capitale.
Il Governatore si era volatilizzato per l’occasione e il vescovo, seppur non presente perché infermo, gli aveva mandato comunque vettovaglie.
Il 23 settembre, un sabato, alle ore dieci del mattino la comitiva ripartiva alla volta di Sandin, una cittadina a tre leghe di cammino, dove l’Almirante si fermò per un paio di giorni, giusto il tempo di rifocillare le bestie che erano state nel viaggio molto trascurate.
La gente, contattata a Madrid dai servi per accompagnare l’Amirante fino a Vitoria da dove avrebbe proseguito il viaggio fino alla costa per imbarcarsi poi alla volta della Francia, ora, conosciuta la vera destinazione, imprecava e non sapeva come svignarsela.
Ma era necessario abbandonare molti bagagli alla frontiera perché le strade portoghesi non erano affatto praticabili.
Con Juan Tomás era Pasquale, suo malgrado, il nipote figlio del fratello Luigi, un ragazzo che, in effetti, l’Almirante aveva rapito a Medina de Ríoseco e che nonostante le ripetute suppliche non voleva lasciar andare.
Lo seguivano anche un fratello bastardo prelevato a Medina de Ríoseco, circa altri otto cavalieri dell’abito di Santiago e il maggiordomo, Don Marín de Valenzuela, anche lui cavaliere dell’Ordine di Santiago.
Oltre agli animali autorizzati e indicati nel lasciapassare, l’Almirante aveva portato con sé altri sedici cavalli.
A Sandin Juan Tomás cominciò a scoprire le carte. Fece diffondere la notizia che era stata la Regina a proporgli una puntata a Lisbona per avere un abboccamento con il Re del Portogallo, prima di recarsi a Parigi. Tutto falso, ovviamente.
A Carbajales non si fermò perché aveva una gran fretta di passare la frontiera. Rimandò addirittura la colazione a dopo.
Appena superata l’ultima dogana e ormai sicuro in terra portoghese, l’Almirante alzò le mani al cielo esclamando: “Benedetto sia Dio che mi ha fatto questa grazia per cui non rischierò più la prigione.”
Questo racconto è contenuto nella corrispondenza tra Don Francesco Pinel y Monroy e il vescovo Arias.
Il solerte funzionario lamenta di non aver ricevuto un ordine ben preciso in tempo per fermare la comitiva, perché lui avrebbe catturato l’Almirante senza farsi alcun scrupolo.
In effetti, tutta la fuga era stata pilotata dai Gesuiti, di cui l’Almirante era stato sempre un grande benefattore.
Anche a Lisbona i Gesuiti lo aiuteranno senza riserve.
Padre Álvaro Cienfuegos era stato la pedina di cui la Compagnia di Gesù si era servita per organizzare il viaggio. Aveva preceduto l’Almirante a Lisbona e, solo perché nel frattempo qualcuno aveva rubato le sue valigie, era stato costretto a ritornare in Spagna.
Si potrebbe cogliere in questo furto l’ombra dei servizi segreti spagnoli che spiavano da tempo l’Almirante e i suoi complici.
Don Francisco Pinel y Monroy a tale scopo aveva infiltrato un mercante di sua fiducia nella comitiva che seguiva il Nostro e grazie a questo contatto teneva costantemente informato l’Arcivescovo di Siviglia.
Juan Tomás Enríquez de Cabrera, a Lisbona, affittò il “caserìo” del Conte di San Lorenzo a Belém, dove visse per diversi mesi.
Non mi dilungo nel raccontare i giorni di Lisbona. Lo farò in altra occasione. Resta finalmente documentata questa pagina di Storia spagnola che è anche di noi siciliani, perché la figura dell’Almirante ci appartiene in quanto Conte di Modica. Su questi fatti tuttavia pochissima luce ancora era stata fatta.
CREDITI
Archivio di Stato di Ragusa, sezione di Modica
Archivo Histórico Nacional (Spagna)
Biblioteca Nacional España
Duque De Maura, Vida y reinado de Carlos II, Espasa Calpe S.A., Madrid, vol. III, 1942
Qui di seguito il testo trascritto.
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Exc/mo Señor
Llega el correo a esta ziudad que V. E. se sirve despacharme oy miercoles â partir sin mas detencion, que la que â tenido escrivir esta carta y el no avere repetido otra con proprio à la que llevò el Ayudante fue por aver asegurado en aquella a V.E. que el Almirante no tenia ya otra parte à donde encaminarse que el Reyno de Portugal, segun el parage en que se hallaba hasta dejarle no lejos de la vaya le siguio un criado mio, cuya noticia reciviria V.E. el martes por el correo, a quien despaché alcanze para remitirla, con las demas particularidades que abra visto V.E. en la carta en que iba la copia de la zedula de S. Mag/d para el paso de las dounas adonde quedo trasladada, y ayer escrivi otra a V.E. con todas las particularidades de lo que suzedió al Almirante en Miranda que para saverlas envié de aqui un mercader, ministro de mi confianza, y que tiene en aquel lugar muchos tratos, para que no pudiese ser sospechoso, pero porque esta no puede llegar a V.E. hasta el sabado, repetiré su contenido que se reduze a que aviendo llegado el Almirante como a las tres de la tarde â la villa de Miranda, se alterò aquel pueblo viendo a su parezer un exercito à sus puertas, y tomaron las armas hasta que el Almirante hizo adelantar un criado que devio de informar el motivo de su viaje con que, mas sosegados, salieron a las puertas con armas a recibirle, esto fue el dia viernes 22.
Apeose el Almirante a la entrada y le hizieron dejar todas las armas a la puerta, registraronle hasta las arquillas de los coches por si llevaba algunas incubiertas, llevarole a pie hasta la Sala que llaman de la Audiencia àdonde durmio y como a las 12 de la noche le llegò un Proprio que parece devia de ser de Madrid y que dizen iba muy fatigado, dos oras despues volviò a despachar otro; El Governador militar no se halla en aquella ziudad, y el Obispo de alla està enfermo, sin embargo le regalo con algunas cosas comestibles, sàvado 23 a las 10 de la mañana saliò de Miranda y pasò a Sandin, lugar tres leguas mas àdentro, y adonde dizen seria preziso detenerse un dia, ò dos, por llevar todo el ganado desterrado, la gente de cocheros y caleseros, que lo acompañan ban blasfemiando contra él porque dizen los conzertò por ir â Vitoria, y no para Portugal, no ha podido saver si continua su viaje à Lisboa que es àdonde dizen se encamina pero abra de dexar todo lo que es carruage, porque apenas puede pasar una litera en algunas partes, y tambien tendra trabaxo el mantenerse por lo misero de la tierra.
Acompañanle su sobrino Don Pasqual, el Conde de la Corzana e Padre Cienfuegos con otros dos teatinos y un frate francisco, aunque de este corre que se a buelto, tambien ba un hermano bastardo del Almirante que dizen estaba en Rioseco, otros seis ó ocho cavalleros de havito, que supongo seran criados suyos, uno de ellos se llama Don Pedro Marin de Balenzuela del havito de Santiago, que va haciendo oficio de maiordomo, de los demas no me han savido dar noticia: el carruage que llevaba tengo avisado ya a V.E. en la carta en que remiti copia de la zedula, solo se añade diez y seis cavallos de mano, que le seguirian, y no eran comprendidos en la zedula, los motivos que dezian algunos de su familia tenia el Almirante para hazer este viage era nel tener orden de la Reyna nuestra Señora para abocarse con el Rey de Portugal antes de pasar a Francia, otras cosas de menos importancia me contò el mercader que envié en su seguimiento como fue decir en Carbaxales que no avia de desaguarse hasta estar en tierra de Portugal, y que al pasar la ultima Aduana de Castilla, levantò las manos al cielo como dando gracias a Dios de verse fuera de este Reyno, en la primera aldea de Portugal aseguran que le oyò decir un herrero “bendido sea Dios que estamos libres de prisiones”.
Tambien se dize que su sobrino Don Pasqual le pidio repetidas vezes con grandes instancias que le dejase bolver, y que no quiso hazerlo, lo que yo puedo asegurar a V.E. es que si me tubiera hallado con orden de detener al Almirante, no tubiera entrado tan à su salvo en Portugal, sin embargo de su comitiva, porque no hubiera avido vezino en esta ziudad que dejara de seguirme con gusto para esta empresa; â ora boy a despachar à Sandin ò mas adelante a saber en que parage se halla, y de lo que adquiere hiré despachando extraordinarios a V.E.
Dios guarde la Ex.ma Persona de V.E. como puede y menester.
Zamora y Septiembre 25 de 1702
Ex/mo Servidor, Beso los pies de V.E.
Don Francisco Pinel y Monroy
Ex/mo Señor Don Manuel Arias
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La rocambolesca fuga del Conte di Modica
Juan Tomás pianificò scrupolosamente la fuga sua e di tutto il suo seguito
di Un Uomo Libero.
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